L’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro ha subito un’ulteriore accelerazione in seguito al taglio ai tassi d’interesse effettuato giovedi’ dalla Bce. Dal punto di vista fondamentale non ci sono elementi per ipotizzare un’inversione di tendenza del movimento in atto.
Il biglietto verde sta correggendo una situazione di sopravvalutazione che non era piu’ utile a nessuno, anche se dalla Casa Bianca confermano una politica incentrata su un dollaro forte. Difficile dire pero’ quanto potra’ durare questo indebolimento.
Sulle ragioni e le conseguenze dell’apprezzamento dell’euro abbiamo gia’ scritto lungamente. Interessante puo’ essere pero’ vedere perche’, da un punto di vista tecnico l’attuale movimento puo’ avere una tendenza ad autoalimentarsi.
A differenza della Federal Reserve, la Bce ha mantenuto un costo del denaro relativamente piu’ alto per contrastare un tasso d’inflazione al di sopra del target di lungo periodo. Oltre che per effetto dell’introduzione della nuova valuta, il problema dei prezzi in Europa e’ stato causato da un’inflazione importata. Nel Vecchio Continente paghiamo in dollari molte delle merci che importiamo, prima tra tutte il petrolio. Naturale quindi che la spirale inflazionistica offrisse a Duisenberg margini di manovra ristretti sul fronte del taglio ai tassi.
Oggi la situazione del cambio potrebbe entrare in una spirale opposta. L’euro si apprezza e la Bce ha l’opportunita’ di abbassare i tassi. Nel breve periodo, una diminuzione del differenziale relativo tra i tassi pagati sul dollaro e quelli sull’euro avvantaggia quest’ultimo.
Per chi specula sul cambio tra le due monete diventa infatti relativamente piu’ conveniente comprare a termine la moneta europea utilizzando dollari. Per questo motivo, quando la differenza tra due tassi di due valute diverse si restringe, quello relativo alla moneta che scende tende a far apprezzare il cambio. Questo effetto si chiama “interest rate parity”. In pratica, perche’ non esistano opportunita’ di arbitraggio e’ necessario che la differenza tra i due tassi d’interesse pagati sulle rispettive monete sia pari alla differenza tra il cambio forward e quello spot sulle stesse.
Se cio’ non fosse vero sarebbe possibile indebitarsi a breve in una moneta, investire nell’altra e contestualmente bloccare il profitto attraverso un forward agreement e guadagnare un profitto sicuro. Ovviamente il mercato e’ efficiente e corregge istantaneamente l’asimmetria spingendo al rialzo il cambio forward della valuta sulla quale e’ stato operato il taglio dei tassi. E’ probabile quindi che finche’ il mercato avra’ la sensazione che gli spazi per ulteriori tagli ai tassi sull’area euro saranno maggiori di quelli sull’area dollaro tentera’ di anticipare le mosse delle banche centrali apprezzando la valuta del Vecchio Continente.
Rimangono ovviamente valide le considerazioni sul fronte dell’analisi di piu’ lungo periodo. Secondo Marcel Kasumovic capo strategist di Merrill Lynch per le valute del G10, i flussi di denaro in cerca di rendimenti obbligazionari relativamente piu’ attraenti spingono ancora gli investimenti nella direzione del Vecchio Continente. “Al momento vediamo molti investitori istituzionali americani comprare bond in euro senza cercare una protezione sul rischio cambio”, osserva l’analista. Per il momento la scelta degli investitori nel medio periodo sembra questa: “lunghi sull’euro e corti sul dollaro”.
Merrill Lynch ha un target di $1,12 per 1 euro nel 2003 e di $1,19 nel 2004, decisamente piu’ cauto di alcune banche europee che si spingono fino a $1,24 per il prossimo anno. “Tuttavia – sottolinea Kasumovic – la Fed e la Bce stanno affrontando un periodo di delicata incertezza, e anche noi rivediamo ogni due settimane le nostre previsioni”.