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TASSI BASSI E PRODUTTIVITA’ ALTA: BUONE NOTIZIE?

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Greenspan sorprende, Duisenberg delude. Mai come in questo momento le mosse delle due banche centrali appaiono scoordinate.

Negli USA il mercato aveva prezzato un taglio di 25 punti base del target sui Fed Fund, giudicando eccessivamente negativo l’impatto psicologico di una riduzione di mezzo punto percentuale.


Errore: la Fed ha tagliato di 50 punti base, rassicurando in un certo qual modo gli animi degli investitori. Se a settembre la decisione di non intervenire sui tassi suonava, “Se i dati macro dovessero peggiorare siamo pronti a tagliare di nuovo”, ieri il messaggio e’ stato, “Se il quadro non peggiorera’ ulteriormente, questo e’ tutto: non vi aspettate altri aiuti per il momento”.

Alla luce di quanto deciso negli Stati Uniti, in Europa sono aumentate le aspettative di un taglio di almeno 25 punti base.


Altro errore. La Bce ha chiaramente fatto intendere che la situazione del Vecchio Continente e’ diversa. In assenza di riforme strutturali e con un’inflazione ancora sopra ai livelli prefissati, non ci sono spazi per una riduzione del costo del denaro.

Decisioni diverse ma con un unico intento: guidare l’economia su un sentiero di crescita che porti ad un aumento del benessere dei cittadini (che poi sono anche gli investitori di ultima istanza).

La domanda ora e’: che cosa ci attende e quali sono le prospettive dei mercati in questo quadro generale?

Le differenze tra Stati Uniti ed Europa rimangono legate a un sistema economico che nel primo caso e’ decisamente piu’ flessibile. La mobilita’ sul mercato del lavoro e i progressi della tecnologia permettono alle aziende USA di tagliare i costi e modificare i livelli delle scorte e i prezzi dei prodotti offerti molto piu’ facilmente che nell’Ue. Il risultato e’ che la forza dei consumi americani, uno dei pilastri dell’economia mondiale, non ha paragoni nel resto del mondo. La gente continua a comprare perche’ trova sempre prezzi adeguati alle proprie possibilita’ di acquisto.

In Europa siamo ancora lontani, ma non abbiamo scelta: prima o poi arriveremo anche noi allo stesso risultato.

La crescita dell’economia e dei mercati azionari e’ quindi l’ipotesi piu’ probabile in questa prospettiva? La risposta e’ no.

Le politiche monetarie espansive sono legate ad un’economia debole e all’assenza di inflazione. Quest’ultima e’ spiegata dal fatto che il divario tra crescita potenziale e reale aumenta. La crescita potenziale si puo’ spiegare, in termini semplicistici (il discorso sarebbe in realta’ piu’ complesso), come la somma della crescita della forza lavoro piu’ l’incremento della produttivita’. Pochi dubbi al riguardo: i flussi migratori verso gli Stati Uniti e l’Ue (a cui fra l’altro si aggiungeranno i Paesi dell’Europa dell’est) aumentano la disponibilita’ di manodopera a basso costo, mentre nuovi sistemi di produzione, politiche del lavoro flessibili e tecnologie avanzate rendono praticamente illimitata la quantita’ di beni offerta dalle aziende.

L’unico ostacolo rimane la domanda, elemento fondamentale per la crescita dell’economia reale. I Paesi capitalisti (vedi Stati Uniti, Europa e Giappone) hanno bisogno di nuovi consumatori in grado di acquistare cellulari, televisori, computer e tutti i beni che caratterizzano l’economia del benessere. Per questi le politiche delle banche centrali possono fare ben poco. Se il sistema continua ad essere caratterizzato da un’offerta senza limiti e da una domanda debole, le possibilita’ delle aziende di fare profitti sono scarse, al di la’ del basso costo di finanziamento a cui vanno incontro.

Se davvero le cose non cambiano, ad essere avvantaggiati saranno i titoli obbligazionari con basso rischio e medio-lunga scadenza. Sul fronte azionario sara’ invece indispensabile tornare a porre l’attenzione sull’identificazione delle singole societa’ che meglio delle altre sono in grado di difendere il vantaggio competitivo. In un sistema fondamentalmente “sano” ma con crescita lenta, alcune aziende riusciranno ad ottenere risultati superiori alla media del mercato, dando buone soddisfazioni agli azionisti. Rimane da verificare se le condizioni sullo scenario internazionale non portino a cambiamenti radicali in grado di alterare il quadro di riferimento.

*Francesco Leone e’ responsabile dell’ufficio studi di Wall Street Italia