Società

TASSI BASSI,
RISCHI GROSSI

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Alla fine degli anni `70 abbiamo conosciuto lo spettro della stagflation: la recessione andava a braccetto con una inflazione devastante soprattutto dal punto di vista della distribuzione dei redditi. Ora siamo tornati alla norma: la stagnazione è accompagnata da un processo nel quale l’unico input sui prezzi arriva dalle quotazioni del petrolio, dalle furberie dei bottegai, dagli aumenti delle tariffe pubbliche.

Brutta bestia la stagflation, ma altrettanto brutta la situazione attuale. La sommatoria di stagnazione e stabilità dei prezzi produce un micidiale cocktail: l’eccesso di capacità produttiva spinge le imprese a non investire; l’occupazione ristagna, frenando i consumi; la frenata dei consumi riduce le prospettive di utili e via dicendo.

Certo, la riduzione dei tassi fa un gran bene ai conti pubblici dei paesi indebitati, ma al tempo stesso fa ripiegare la domanda dei piccoli e grandi risparmiatori, che vedono ridotto il potere d’acquisto (i Bot semestrali aggiudicati ieri pagano solo l’1,7%). Questo spiega la corsa al mattone, ennesima «bolla» destinata a esplodere.

Di più: l’incertezza delle prospettive economiche (e belliche) deprime la fiducia dei consumatori (che ieri negli Usa ha registrato l’ennesio crollo) nonostante gli sforzi di chi propone vendite rateizzate «a tasso zero».

E ancora: le imprese in assenza di inflazione tendono a non innovare, cercando di accrescere i profitti comprimendo il costo del lavoro. Che, come dice la Federmeccanica, non può aumentare più di tanto perché l’inflazione passata non è stata abbastanza alta e quella futura – programmata – è ancora più bassa di quella passata.

Falso, naturalmente, visto che il contenimento del costo del lavoro individuale non sottende un ampliamento della base produttiva, ma unicamente una riduzione della massa salariale. Ma contenendo i salari non si può certo sperare in una ripresa della domanda dei soggetti (deboli) che certamente potrebbero, con redditi più alti incrementare i loro consumi. A meno che la mano pubblica non provveda a riequilibrare la distribuzione del reddito, con un welfare capace di liberare le risorse dei cittadini, creando al tempo stesso occupazione. Ma questo non sta succedendo. Al contrario, la tendenza è la compressione della spesa pubblica per alleggerire la pressione fiscale di quelli (gli alti redditi) che vengono considerati i tartassati dal fisco, ma che sono i meno bisognosi di aiuto.

Insomma, una ricetta miserabile il cui unico effetto è di squilibrare ulteriormente la distribuzione dei redditi, affossanto l’economia (non solo quella italiana) nella stagnazione.

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