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TASSE: SOLO 2 ITALIANI SU 1000 OLTRE I 200.000 EURO

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(WSI) – Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva spiattellato quei numeri scioccanti durante un vertice di governo dedicato alle misure da prendere per dare una scossa alla boccheggiante economia italiana, come emblema di una situazione da capovolgere.

In un Paese dove nel 2001 ben 230 mila persone avevano acquistato un costosissimo Suv o un’auto di lusso, soltanto 17 mila contribuenti avevano dichiarato redditi superiori a 300 mila euro. Chiara dimostrazione che qualcosa non quadrava, già da un bel pezzo. E ancora non quadra. Da quella denuncia (era il mese di maggio del 2004) sono trascorsi più di cinque anni e si sono alternati tre governi (di cui uno guidato dal centrosinistra). Ma poco o nulla è cambiato, almeno a giudicare dagli ultimi dati del Fisco relativi alle dichiarazioni Irpef presentate nel 2008 (Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita’ e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 79 centesimi al giorno, provalo).

Sapete quanti italiani hanno dichiarato di aver guadagnato nel 2007 più di 200 mila euro? Appena 75.689. Ossia, lo 0,18 per cento dei 41 milioni e 66.588 contribuenti, poco meno di due su mille. Ed è ancora niente. Perché dei 75.689 super ricchi, ben 43.006, cioè il 56,8 per cento, sono lavoratori dipendenti. Insomma: dirigenti d’azienda, funzionari pubblici di rango più o meno elevato, magistrati. Poi ci sono 18.811 pensionati, che rappresentano un altro 24,8 per cento dei Paperoni italiani.

Fatto che non può non apparire sorprendente, il numero dei pensionati d’oro è soltanto di poco inferiore a quello dei lavoratori autonomi che nel 2007 hanno dichiarato un reddito superiore a 200 mila euro: 20.061 in tutto. Cifra che scende considerevolmente per i percettori di reddito d’impresa: vale a dire i 2 milioni 43.003 titolari di ditte individuali, in larga misura commercianti e artigiani. In questa categoria i redditi che nel 2007 hanno superato la fatidica soglia dei 200 mila euro sono stati soltanto 6.253.

Ancora, i contribuenti che hanno denunciato di guadagnare più di 100 mila euro non sono stati che 382.662, meno dell’uno per cento del totale. Di questi, 218.198 (cioè ben oltre la metà) erano lavoratori dipendenti. Va precisato che si tratta di dati ancora provvisori e che fra i numeri dei contribuenti veri e propri e quelli delle dichiarazioni ci possono essere alcune discrepanze, dovute al fatto che lavoratori dipendenti possono avere anche redditi da lavoro autonomo. Le somme quindi non tornano. Ma le proporzioni, salvo qualche aggiustamento, sono comunque giuste. Il Fisco ci informa poi che la dichiarazione media del reddito da lavoro autonomo (prevalentemente professionisti) è stata due anni fa pari a 37.124 euro contro i 19.334 euro del reddito da lavoro dipendente.

E qui c’è una seconda sorpresa. Perché se è normale che un lavoratore dipendente dichiari più di un pensionato (13.447 euro), è difficile da comprendere come il reddito medio di una ditta individuale possa essere inferiore a quel livello. Esattamente, 18.987 euro. Ma del resto la fascia più numerosa di dichiarazioni nella categoria delle ditte individuali è quella di chi ha denunciato fra i 15 e i 20 mila euro: sono 358.484. Come non è facile spiegare un’altra particolarità tutta italiana. Stando sempre ai dati ancora provvisori del Fisco, un numero assolutamente rilevante delle 940 mila società di capitali italiane avrebbe chiuso il bilancio del 2007 in perdita. Addirittura il 45 per cento del totale verserebbe in questa situazione.

Le imprese in rosso sono state ben 419.759 e hanno accumulato un buco di 53,5 miliardi: 127.490 euro in media. Le società in utile, invece, erano appena 520.459, con profitti per 151,1 miliardi. Se tutto questo avveniva nell’anno precedente alla crisi finanziaria più grave del dopoguerra, è veramente difficile immaginare lo scenario che si potrebbe presentare ad Attilio Befera, il capo dell’Agenzia delle Entrate, con le dichiarazioni del 2008. A meno che questa apparente assurdità non nasconda qualcosa.

«Non è affatto un fenomeno nuovo», dice Antonio Di Majo, ordinario di Scienza delle Finanze all’Università di Roma Tre, che spiega: «Nel campo delle società di capitali ci sono evidenti possibilità di elusione. Per questo ritengo che il fenomeno abbia a che vedere con la limpidezza dei bilanci. Dimostrazione ne è il fatto che fino a qualche tempo fa il 40% circa del gettito Ires di questa categoria veniva dalle banche, che essendo soggette anche alla vigilanza della Banca d’Italia sono obbligate a tenere una contabilità trasparente». Di Majo aggiunge che «nel nostro Paese c’è una dinamica delle imprese elevatissima. Si chiudono e aprono società con una rapidità impressionante e questo rende difficile seguirne i percorsi. Ciò richiederebbe strutture ispettive particolarmente attrezzate, perché non c’è dubbio che in tutto il mondo il Fisco funziona bene se funzionano i controlli».

Una situazione, quella delle società di capitali, che stride anche con quella delle società di persone, dove i bilanci in rosso sono decisamente più rari. Queste sono un milione 34.819 e rappresentano in prevalenza le piccole e le piccolissime imprese. Ebbene, nel 2007 circa 148 mila hanno chiuso il bilancio in perdita, una fetta inferiore al 15% del totale. Le società di persone hanno prodotto nell’anno in esame un reddito di 32,4 miliardi. Se a questa somma si aggiungono il reddito delle ditte individuali (39 miliardi circa) e gli utili delle società di capitali si ricava che il sistema delle imprese ha prodotto redditi «positivi» per 222,3 miliardi, una somma di poco superiore alla metà del 398 miliardi di redditi dichiarati dai lavoratori dipendenti.

Quanti di questi soldi sono finiti effettivamente nelle casse dello Stato? Di Majo stima in 60,7 miliardi il gettito fiscale 2007 garantito dalle imprese. Ben 50,7 miliardi sarebbero relativi all’Ires delle società di capitali, mentre l’Irpef pagata dalle società di persone si sarebbe attestata intorno ai 6 miliardi, contro i 4 versati (sempre di Irpef) dalle ditte individuali. Le piccole e piccolissime imprese artigiane e commerciali, che rappresentano la stragrande maggioranza delle società di persone e delle ditte individuali avrebbero cioè pagato nel 2007 una decina di miliardi di euro di tasse. Ovvero il 7% dell’Irpef netta (142,5 miliardi) che sarebbe finita all’Erario. Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita’ e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 79 centesimi al giorno, provalo.

Numeri che secondo gli esperti offrono pochi margini per interventi fiscali a favore del sistema delle imprese che da più parti si continuano a evocare. Una tesi ribadita anche nel recente rapporto 2009 della Met (Monitoraggio economia e territorio) dove si segnala comunque una condizione di sofferenza delle imprese, che devono fare i conti con il progressivo ridimensionamento degli incentivi pubblici. Il rapporto afferma che nello scorso anno sono stati erogati poco più di quattro miliardi di euro di contributi, di cui però circa un terzo al solo settore aeronautico e aerospaziale, controllato dalla Finmeccanica. Considerando questo elemento, fra il 2002 e lo scorso anno il calo delle risorse pubbliche destinate alle imprese sarebbe stato del 63,6%. Nel solo 2008, anno della grande crisi, la flessione sarebbe stata del 23,2%. Ma questa è un’altra storia.

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