Società

TASSE: GOVERNO
PRODI A UN BIVIO

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*Vicedirettore Finanza&Mercati. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Caro direttore, te la ricordi la storia della Fronda in Francia? Mi è venuta in mente ieri, leggendo la dichiarazione di Pier Ferdinando Casini secondo il quale la grande manifestazione del prossimo 2 dicembre a Roma contro la finanziaria dei tristi tassatori Prodi-Visco-Padoa-Schioppa – i “tassassini”, si è detto ieri bene alla Fiera di Milano dove 20mila artigiani hanno manifestato tutta la loro protesta – sarebbe in realtà un regalo a Prodi.

Personalmente, proprio su queste colonne sin da giugno scorso, ho tempestato scrivendo innumerevoli volte che sarebbe stata una finanziaria solo tasse e maggiori spese, invitando l’opposizione a radicarsi con adeguate iniziative in ogni millimetro quadrato di società produttiva italiana che sarebbe stata inevitabilmente colpita dal ritorno del fiscal-giustizialismo. E dunque la penso come Fini, e sto con la sua risposta a Casini: basta infantilismi.

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È evidente che i partiti devono combattere innanzitutto in Parlamento – e al Senato fino all’ultimo voto, a costo di protrarre le votazioni anche per 72 ore di seguito per mettere a dura prova la prostata dei signori colendissimi senatori a vita – ma è ancor più sicuro che di fronte all’altra Italia che scende in piazza di suo – quella dei tartassati che protestano con un afflato unitario che non si riscontrava mai in precedenza dall’avvento della Repubblica, con la somma di Confcommercio e Confartigianato, Cna e cooperative di tutti i colori comprese quelle rosse vicine al governo, professionisti di ogni albo e lavoratori autonomi di ogni appartenenza – di fronte all’Italia “tassassinata” che rifiuta di piegarsi alla falce egualitaria dell’ideologia livellatrice di sinistra, di fronte all’Italia rapinata proprio mentre le entrate fiscali crescono dell’11,5% grazie all’ultima finanziaria di Giulio Tremonti che portava un segno opposto a quella dell’Unione, di fronte a questo decidere di volgere le spalle come fanno Casini e la sua Udc – non tutta, per altro – significa semplicemente abdicare al proprio ruolo politico.

Con la crisi verticale della rappresentanza filo-ulivista che in questi mesi ha sperimentato la Confindustria di Montezemolo, pressata dal basso dalle grida di dolore dei propri associati e dei piccoli industriali iscritti, non battere tutti i sabati e tutte le domeniche piazze e teatri d’Italia per aprire porte e finestre al dialogo con i 15 milioni di italiani che non sono né pubblici dipendenti né i precari tanto cari all’Unione vuol dire perdere un’occasione politica storica. Ma è ovvio che Casini su questo non potrà che essere d’accordo.

Andiamo al dunque, allora, della sua obiezione a riempire le piazze romane, sabato prossimo. “Tutti in piazza con Silvio!”, è lo slogan. Ma poiché l’antiberlusconismo è il cemento più solido dell’Unione, ecco il regalo a Prodi, secondo Casini. Ed ecco perché a questo punto, caro direttore, mi è scattato il ricordo della Fronda francese, con Casini nella parte del Gran Condé. Per spiegarmi, ricordo ai distratti la Fronda in due parole.

La Francia-Cdl e la Spagna-Ulivo

Alla morte di Luigi XIII, il successore di Richelieu, il cardinale Mazarino, ferreo sostenitore di una politica di accentramento della guida politica e dunque più simile al Cavalier Berlusconi, si trova ad affrontare due ondate di divisioni interne: prima la Fronda parlamentare sulle finanziarie dell’epoca, esattamente come tra 2001 e 2005 Udc e talora An hanno fatto nei confronti di Tremonti e del governo Berlusconi, poi la Fronda nobiliare, guidata da Luigi II di Borbone, il principe di Condé-Casini, che per anni fomenta contro Mazarino-Berlusconi fino al punto, accecato dall’odio, di passare al servizio del nemico numero uno della Francia-Casa delle Libertà, cioè la Spagna-Ulivo che da decenni la combatteva.

In Francia, andò a finire che fu Mazarino a vincere, e il Condé dovette tornare sui propri passi. Naturalmente, non ho alcuna pretesa che Casini si veda lusingato dall’accostamento al Gran Condé, e per questo rinunci al suo dissenso. Ma stia almeno attento ad allearsi col nemico, perché in quel caso non avrà più chanches future. Diciamola tutta: la spallata entro poche settimane non è all’ordine del giorno. Ma ci sono almeno due ottime ragioni – oltre a quello schifo che è la finanziaria rapinatrice di Prodi – per impegnare una battaglia continua e ininterrotta su tutti i fronti: in altre parole, perché Casini cambi idea e vi aggiunga le sue forze.

La prima è che l’antiberlusconismo davvero è il collante numero uno dell’Unione: ma per una ragione che dovrebbe suonare da insegnamento a prescindere da come la si pensi su Berlusconi. Il vero motivo inossidabile dell’antiberlusconismo dell’Unione non è affatto etico né estetico: sta piuttosto in quella cifra di assoluta caparbietà con cui Berlusconi non ha mai mollato la presa, si è rimesso in piedi tutte le volte che è stato disarcionato con i trucchi o sconfitto alle urne, ha ripreso a combattere con più forza e decisione di prima, e puntualmente ogni volta ha riaperto il capitolo che la sinistra considerava invece chiuso una volta per sempre.

La sinistra italiana, tanto nelle sue componenti comuniste che ex comuniste, cattocomuniste che azioniste, è stata abituata ad avere davanti a sé avversari che la consideravano naturalmente votata alla vittoria e alla prevalenza: era il torto di una parte della vecchia Dc, che ha immaginato per decenni equilibri “più avanzati”, in costante scivolamento verso un ingresso dei comunisti al governo che per alcuni era omologazione, ma che agli occhi dei comunisti stessi significava solo che erano per primi i loro avversari, a non credere più nella possibilità di resistere al nemico.

Di Berlusconi leader io per primo ho tante volte criticato errori e cazzate sesquipedali: ma è inevitabile riconoscergli che con lui e solo grazie a lui sia tornata ad ardere nella vita pubblica italiana una fiaccola di irriducibile alterità, rispetto a chi è statalista, giustizialista e tassatore, avversario dell’individuo e delle sue libertà, che vengono per noi prima di quelle di qualunque collettività che si pretende sovraordinata. È di questa irriducibile alterità che CasiniGran Condé sembra voler fare a meno: lo sappia, e metta in conto che per questo piace all’Unione.

Ma c’è poi anche una seconda ottima ragione, per cui è un errore sottrarsi alle piazze: le difficoltà dell’Unione. Esse sono sempre più palesi, e anche se non tracolleranno in breve sono evidenti come linee di faglia di profondità assai superiore a quel che il centrosinistra aveva messo in conto. Non è solo certificato nella discesa verticale dei sondaggi demoscopici, con l’Unione ormai saldamente minoranza rispetto a una Casa delle Libertà tornata nettamente in testa.

Le difficoltà ancor più promettenti sono quelle che si moltiplicano ogni giorno nei rapporti interni, e negli organi politici dei diversi partiti della maggioranza. Massimo D’Alema all’ufficio di presidenza Ds ha dovuto sparare a zero sulla finanziaria del governo, per appellarsi alla sinistra del correntone e a tutti coloro che dicono no oggi e diranno no nel congresso di primavera al Partito Democratico concepito come ascensore di Prodi e della sua personale merchant bank di amici e sodali senzapartito.

Un nome credibile per il post Berlusconi

Nella Margherita, Rutelli è in imbarazzo pieno, per la spiazzante iniziativa che Prodi ha fatto assumere alla pattuglia di Arturo Parisi e che spacca quell’unità d’intenti senza di cui Rutelli apparirà assolutamente minoritario, rispetto al peso preponderante degli ex Popolari. Di quel che pensano dei sedicenti riformisti i comunisti di Diliberto e di tante iniziative del governo, i lettori di Libero hanno avuto occasione di farsi un’idea esaustiva con la lettura integrale della relazione del segretario al suo Comitato centrale. Verdi e Rifondazione usano toni analoghi, al chiuso dei loro organi.

In sintesi estrema, Prodi e la sua banda di pretoriani perseguono una linea distinta da quella dei vertici dei due maggiori partiti dell’Unione e la linea di ciascuno di essi è diversa da quella della sinistra radicale. Solo incalzandoli ogni giorno su qualsivoglia terreno, solo facendo leva con grande durezza su ogni loro contraddizione, solo se non si concederà loro di rifiatare neanche per un secondo nella sicurezza che tanto dall’altra parte il campo è diviso per come Berlusconi si è rifatto i capelli o per come suona con Apicella, solo chi saprà fare tutto questo riuscirà a rendersi davvero credibile – magari anche per il post Berlusconi, appunto – agli occhi di quell’Italia tassassinata che si è arcistancata di vedersi picchiata nelle tasche.

Caro Casini, per la stima e il bene che ti si vuole – se no col cavolo che ti si accosterebbe mai mai al Gran Condé – vedi di rifletterci ancora un pochino meglio, prima di sottrarti alla lotta.

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