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(WSI) – Per le associazioni dei consumatori è una vera e propria emergenza sociale, che richiede l’intervento del mondo politico con una legge. Per gli addetti ai lavori, invece, è semplicemente lo specchio di un Paese che cambia e che diventa sempre di più «americano».
L’indebitamento degli italiani è in costante crescita e c’è il rischio concreto che le famiglie non riescano a fare fronte agli impegni presi. La ragione? Il potere d’acquisto dei cittadini, dicono le principali associazioni dei consumatori, si è progressivamente assottigliato, mentre i tassi d’interesse hanno preso la via del rialzo e le rate dei mutui o dei prestiti si fanno più pesanti.

Le statistiche, però, dimostrano il contrario: secondo le rilevazioni dell’Osservatorio annuale sul credito di Assofin-Crif-Prometeia, il rapporto tra lo stock di debiti e i redditi annui degli italiani rimane ancora relativamente basso, cioè abbondantemente al di sotto del 40%, contro il 50% registrato in molti Paesi europei o addirittura il 70% degli Stati Uniti.
Ma le statistiche, si sa, seguono sempre la logica del pollo evocata dal poeta Trilussa: quando si dice che per ogni abitante c’è un pollo, ci si dimentica di ricordare che, in realtà, c’è chi di polli ne ha due e chi nemmeno uno.

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IL 52% HA RADDOPPIATO. Lo stesso vale per i prestiti: oggi alcuni italiani sono già eccessivamente esposti verso il sistema creditizio e altri per niente. E allora, tra gli allarmi lanciati dai consumatori e le rassicurazioni degli esperti, la verità forse sta nel mezzo. Più che essersi indebitati troppo, spesso gli italiani si sono indebitati male.

E in molti casi hanno contratto diverse forme di finanziamento troppo onerose, che possono rivelarsi alla lunga un’arma a doppio taglio. La prova arriva da un’indagine realizzata dall’Associazione difesa consumatori e ambiente (Adiconsum) su oltre 600 domande pervenute al fondo antiusura, costituito nel 1997 dalla stessa associazione guidata da Paolo Landi per tendere una mano ai debitori in difficoltà.

Secondo i dati riportati nell’indagine, i risparmiatori si trovano spesso «con l’acqua alla gola» proprio perché si sono esposti verso il sistema creditizio in maniera irrazionale: hanno contratto dei prestiti soltanto per finanziare spese correnti o secondarie (per esempio per pagare il matrimonio, per far studiare i figli o per portare a termine le pratiche di divorzio) piuttosto che per investire in beni durevoli come l’auto o la casa.
Ma c’è un dato ancor più significativo che emerge dall’indagine. È il fatto che molti risparmiatori nei pasticci hanno rapporti con più di una banca o una finanziaria, cioè con almeno due intermediari (52%) o addirittura con tre (15%).

ALMENO TRE PRODOTTI. Inoltre, ed è questo l’aspetto più rilevante, la catasta di debiti creatasi negli anni trova origine quasi sempre in più di uno strumento creditizio: c’è chi ha in portafoglio fino a tre prodotti diversi, dal tradizionale mutuo ipotecario ai finanziamenti bancari di piccolo importo, dalla cessione del quinto dello stipendio alle carte revolving, che permettono il rimborso rateale delle somma spesa. L’insieme dei prestiti, dunque, si è trasformato in una matassa assai intricata, difficile da sbrogliare.

Perché complicarsi la vita con tutte queste linee di credito? A chi ha bisogno di soldi, infatti, il sistema bancario offre sempre una soluzione semplice che, guarda a caso, è anche la meno onerosa. Si tratta dei classici prestiti personali che, anche per piccoli importi a partire da 3-5 mila euro, richiedono una quota di interessi sul debito meno elevata rispetto a molti altri prodotti oggi molto in voga sul mercato.

La dimostrazione arriva dalle schede riportate in queste pagine che, per i primi sei istituti di credito italiani, mettono a confronto le condizioni dei finanziamenti personali con quelle di altri due prodotti: lo scoperto di conto corrente, detto anche fido bancario, e le gettonatissime carte revolving. Ed è sempre il prestito ad avere la meglio nel confronto, con un tasso nominale annuo (Tan) tra il 7,5 e il 9,5%, mentre il fido supera spesso il 10% e le revolving non scendono mai al di sotto del 13-14%.

Questo significa che, su un’esposizione finanziaria media di soli 3 mila euro, per i finanziamenti più tradizionali si pagano in un anno circa 270 euro di interessi, contro i 420 euro della revolving e i 300 del fido che, ogni tre mesi, richiede il pagamento di una commissione di massimo scoperto: una quota percentuale, che varia tra lo 0,5 e l’1%, calcolata sul passivo massimo registrato nell’arco di un trimestre.

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