Società

TANZI:
DRAMMI & MEDIOCRITA’

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Paolo Madron e’ il Direttore di Panorama Economy.

Senza scomodare Tangentopoli, chi legge nella vicenda Parmalat la crisi di un
intero sistema ha ragione da vendere. Un sistema mediocre, però, visti i
connotati strapaesani della truffa (chi faceva la cresta sui cartoni del
latte, chi il centralinista-amministratore delegato di società offshore, chi
prendeva a martellate i computer per cancellare le prove), niente a che fare
con quell’atmosfera shakespeariana che ha trasformato la caduta dei Ferruzzi
in tragedia.

Insomma, nonostante abbia coinvolto rispettate banche
internazionali, costretto le Consob di mezzo mondo a intervenire e tanti
magistrati a indagare, il crac della multinazionale del latte è il prodotto di
una poco nobile miscela fatta di furberia, tracotanza e indole maneggiona di
cui la faccia di tolla del cavalier Calisto è degno emblema. Perciò va bene
richiamarsi al rispetto dei sacri principi del libero mercato o, come ha fatto
Marco Tronchetti Provera sul Financial Times, appellarsi a tutti i suoi attori
perché responsabilmente si diano da fare per ripristinarne le regole infrante.

Ma tutti gli appelli rischiano di cadere nel generico se, contemporaneamente,
non si lavora per estirpare la radice dei comportamenti degenerativi. La
maledizione del capitalismo italiano è di essere ancora troppo piccolo non
solo per poter pensare in grande, ma anche per togliersi di dosso quella
patina consociativa che fa dell’intreccio perverso tra banche, politica e aziende il suo
terreno d’elezione.

Così che, mentre altrove casi come Enron e Worldcom, o i
più vicini Ahold e Marconi, fanno storia a sé (mele marce in un contesto
sano), da noi quanto successo con Cirio e in modo molto più eclatante con
Parmalat si riverbera su tutto il sistema rivelandone la precarietà delle
fondamenta. Che non poggiano, appunto, sui principi del libero mercato ma su
quelli delle mutue connivenze, della solidarietà di bottega o di clientela che
mal tollera anche il più piccolo afflato riformatore. Il risultato è che
molta, troppa classe dirigente di questo Paese ha le mani legate perché
l’aspirazione al rinnovamento superi la soglia delle buone intenzioni.

Un
esempio? Lo scandalo Parmalat stupisce, oltre che per l’entità della truffa,
anche per il groviglio di conflitti di interesse che ha fatto emergere.
Revisori compiacenti con i loro committenti, amministratori che siedono
contemporaneamente nei consigli delle società e delle banche che le
finanziano, cointeressenze di vario genere tra controllati e controllori.

Ma
il conflitto più stridente investe il ruolo dei partiti. Come credere alla
loro volontà di modernizzare il capitalismo e i suoi principi se quasi tutti
sono indebitati con quegli stessi istituti (vedi la dipendenza finanziaria dei
Ds da Capitalia, che spiega perché il partito abbia dato l’impressione di
difendere più i banchieri che i risparmiatori) di cui oggi censurano i
comportamenti?

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