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SUPER AMERICA

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(WSI) – La Borsa americana ha superato i massimi dal maggio 2001, con l’indice Standard & Poor’s 500 al di sopra di quota 1.300. I dati dell’economia reale sono altrettanto confortevoli: il pil cresce del 3-3,5 per cento, l’occupazione è in aumento, i salari sono in rialzo. L’inflazione è sotto controllo, gli investimenti in espansione. Anche il bilancio federale, che era in pesante deficit, a causa delle spese militari e dei tagli fiscali, sta migliorando perché le entrate registrano una crescita superiore al 10 per cento.

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In questo quadro roseo, sostanzialmente corroborato dal Beige book della Federal Reserve, c’è però un “ma”, che può dare la sensazione che il quadro positivo sia illusorio. Infatti nel 2005 il disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti ha raggiunto gli 800 miliardi di dollari, con un aumento del 20 per centro sul 2004. Con un pil di 11.500 miliardi, il disavanzo corrente dei pagamenti statunitensi è il 6,9 per cento.

Dunque il benessere americano potrebbe essere un’illusione, derivante dal fatto che il paese s’indebita con l’estero, per controbilanciare l’eccesso di import sull’export. Ma il Wall Street Journal richiama l’attenzione su un fatto che le statistiche non mettono in luce: il rapporto fra gli interessi passivi che gravano sulla bilancia corrente americana, in relazione all’enorme ammontare di capitali esteri impiegati negli Stati Uniti, e gli interessi attivi e gli altri proventi delle imprese americane conseguiti all’estero, che, in gran parte, quando sono realizzati, ivi rimangono. Questo importo, secondo i calcoli che vengono forniti, supererebbe gli 800 miliardi, dando luogo a un attivo della bilancia degli Usa con l’estero di 40 miliardi.

Va notato che una parte dei frutti degli investimenti esteri rientra negli Stati Uniti, come afflusso di capitali, impiegati in dollari, generando l’illusione di un indebitamento che non c’è. Se tutto ciò è vero, trova una spiegazione anche il fatto che il dollaro non crolli, come sarebbe logico, dopo anni di disavanzi commerciali enormi, mentre non hanno fondamento certe preoccupazioni dei protezionisti. Ovviamente la chiave sta nell’enorme redditività della tecnologia e dei marchi degli Stati Uniti.

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