STUDIA PIAZZA AFFARI E CAPIRAI CHI VINCE LE ELEZIONI

di Redazione Wall Street Italia
28 Marzo 2006 00:44

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Fanno gli indifferenti, sbuffano, ti rispondono
con sufficienza, hanno cose
più importanti da fare. «La politica?
Non ci interessa. Le elezioni? Chiunque
vinca va bene, basta che vinca bene».
Ma non è vero: i trader sono gli unici a
sapere già tutto sul 9 aprile, alla faccia
dei dispensatori di dubbi come Pagnoncelli
e Mannheimer. Solo che i maghi
del listino non ti diranno chi vince neanche
sotto tortura. A sentirli, anzi, se ne
ricava solo la solita solfa pre-elettorale:
a Piazza Affari interessa solo la “stabilità”,
al bando i pareggi, serve il governo
solido, in grado di durare a lungo, e via
dicendo.

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Eppure, a ogni appuntamento
elettorale, sulla piazza milanese si parla
di sondaggi segreti, i mercati reagiscono
e spesso ci azzeccano. Accadde nel ’94,
quando a Milano, nei giorni che precedettero
il voto del 27 marzo che consegnò
l’Italia al primo governo Berlusconi,
a Piazza Affari fece irruzione un Toro
scatenato: il venerdì precedente furono
scambiati titoli per 931 miliardi di lire
con un trend rialzista del tutto inatteso
rispetto all’andamento dei giorni precedenti.

In Borsa avevano capito tutto,
avrebbe vinto il Cavaliere, bastava leggere
tra le righe dei listini. Il balzo in
avanti dei titoli assicurativi e della Fiat
non era altro che la cartina di tornasole
di quelle due righe del programma di
Forza Italia nel quale si promettevano
incentivi al settore assicurativo e defiscalizzazione
per le imprese operanti sul
mercato automobilistico.
Uno schema ripetutosi anche nel
’96, alla vigilia del voto che sancì la vittoria
dell’Ulivo di Prodi. Ultima seduta
prima del voto del 21
aprile, la Borsa punta sul
Professore: rialzo a sorpresa
dell’azionario, volano
Generali e Mediobanca, colossi
considerati vicini al
centrosinistra, e soprattutto
la Stet, il gigante pubblico
delle tlc. Un segnale illuminante,
visto che Prodi nel
suo programma parla esplicitamente
di un piano di privatizzazioni nel settore.

Così come emblematico è il crollo
della Standa di Berlusconi.
Ultimo esempio di preveggenza dei
mercati, nel 2001: prima del voto del 13
maggio, si registrò il crollo dei titoli del
gruppo Colaninno, che solo due anni
prima aveva scalato Telecom anche grazie
ai buoni uffici del governo D’Alema.
I trader avevano scommesso su Berlusconi:
lo si capì anche dal rimbalzo di
Mediaset, ma soprattutto dal clamoroso
decollo dei titoli del settore edilizio, dalla
Cementir, a Buzzi, a Italcementi, tutti
beneficiati dal grande rilievo dato dal
programma della Cdl al rilancio
delle opere pubbliche.

Anche sui trend speculativi
e i legami con le vicende
politiche, qualcosa di interessante
si nota: dall’inizio dell’era
Berlusconi-Prodi, gli
anni d’oro della Borsa italiana
furono il ’97 (+53% sul
Mibtel) e il ’98 (+54,8%) e il
’99, l’anno dell’Opa su Telecom,quando
il listino di Piazza Affari fece segnare un
incremento di 726 miliardi in termini di
capitalizzazione.Poi la bolla sui tecnologici
iniziò a sgonfiarsi,arrivò l’11 settembre,
il trend ribassista la fece da padrone
fino alla fine del 2003. In questi anni il
contesto macro-economico risultò decisivo,
visto l’andamento negativo di tutte
le Borse mondiali, ma di sicuro i primi
anni del governo Berlusconi non furono
fortunati per i mercati.Fu invece nel primo
governo Prodi, in presenza di un ciclo
economico più fluido, che l’apparente
stabilità della maggioranza ulivista
contribuì a corroborare i mercati: non a
caso la Borsa si mosse al rialzo fino ad
aprile ’98, poi, ai primi segnali di crisi ripiegò
nettamente anticipando la caduta
di Prodi dell’ottobre successivo.

Ma il
record positivo lo fece segnare il governo
D’Alema, in carica fino all’aprile del
2000. Anche qui la Borsa si mosse al
rialzo con una logica precisa: quell’esecutivo
sembrava solido, solidissimo, proprio
perché orfano di Bertinotti. Ed è
qui che compare il fattore-F, come Fausto.
Lo stesso che potrebbe far pensare
a un retropensiero della Borsa già in
questi mesi: a gennaio, quando iniziarono
a trapelare le prime indiscrezioni sui
programmi, a Bertinotti scapparono alcune
dichiarazioni sulla tassazione delle
rendite che facevano ipotizzare una batosta
anche sui capital gain. Risultato? Il
10 gennaio escono le prime indiscrezioni
sul programma dell’Unione, si parla
di aumento della tassazione sui capitali,
Piazza Affari chiude in terreno negativo;
così come il 20 gennaio,quando Bertinotti
parla esplicitamente di patrimoniale
(chiusura a – 0.80) e il 7 marzo
scorso, giorno in cui Prodi annuncia
l’aumento delle aliquote sulle rendite al
20% e Piazza Affari scivola a – 0,58.
Coincidenze, dicono i trader.

Intanto,
però, nel ’96 era accaduto che un ministro
dell’Ulivo,Vincenzo Visco, l’11 giugno
aveva accennato a una riforma del
sistema di tassazione sui redditi da capitale
e la Borsa aveva sbandato paurosamente,
perdendo due punti a metà giornata,
salvo recuperare dopo le precisazioni
del ministro. L’ennesima dimostrazione che i
mercati osservano,giudicano,spesso dettano
la linea. E quasi sempre capiscono
prima di tutti. Occhio ai listini, dunque,
tra il 3 e il 7 aprile, ci sveleranno molto
più degli exit-pol di Mentana e Vespa.
Per esempio, se Intesa e Unicredito dovessero
prendere il volo da qui a due settimane,
qualcuno scommetterebbe ancora
un euro su Berlusconi?

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