*Antonio Cesarano e’ il Responsabile Desk Market Research di MPS Finance. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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Il primo mese dell’anno offre già interessanti spunti in ottica di gestione di portafoglio per il 2006. Analizzando sinteticamente l’andamento delle principali variabili si osserva:
1) il mercato dei bond progressivamente sta sperimentando un trend dei tassi al rialzo che presenta però il connotato della gradualità;
2) il mercato azionario ha offerto interessanti profitti soprattutto nel comparto energetico che ha nuovamente consentito al comparto c.d. value (in cui sono appunto ricompresi i titoli energetici) di sovraperformare quello growth in Europa;
3) il vero protagonista è stato però ancora una volta il comparto delle materie prime che ha visto la ribalta di commodity che già lo scorso anno avevano ben performato come ad esempio lo zucchero, divenuta sempre più una commodity trattata alla stregua del petrolio grazie alla possibilità di estrarre da esso l’etanolo che in Brasile (primo produttore mondiale di zucchero) ad esempio viene utilizzato a tutti gli effetti come sostituto della benzina. Il Brasile raccoglie in tal modo i frutti di un piano a
favore dell’etanolo implementato nel lontano 1975!
Sul mercato dei bond negli Usa si è assistito all’inversione della curva dei tassi mentre in Europa i tassi a due anni hanno raggiunto livelli
prossimi al 3%, ossia anche in questo caso molto vicini (sebbene ancora inferiori) a quelli offerti da segmenti più a lungo termine (ad esempio il comparto decennale governativo rende circa il 3,5%).
Quali sono state e quali potrebbero essere in futuro gli impatti per i diversi attori finanziari (mutual funds, fondi pensione ecc)?
Per i gestori di risparmio amministrato, potrebbe essere rilevante non soltanto il trend direzionale dei tassi ma anche la velocità dello stesso.
In sostanza, il trend al rialzo dei tassi di mercato avente però il connotato dell’estrema gradualità, potrebbe rendere le strategie di
gestione del profilo di duration rispetto al benchmark piuttosto complesse: posizioni troppo corte di duration potrebbero tendere a beneficiare in modo troppo ridotto del rialzo dei tassi se quest’ultimo si dovesse ancora
realizzare in modo graduale, dal momento che esporrebbe eccessivamente ai rischi di rientro anche solo temporaneo della fase di rialzo. In poche parole il rischio/rendimento associato risulterebbe essere penalizzante.
Stesse considerazioni valgono con riferimento a posizioni sovraesposte di duration dal momento che in tal caso la penalizzazione deriverebbe dalla presenza di un trend comunque rialzista dei tassi. Ed ecco allora la soluzione adottata da diversi gestori nell’area Euro: rifugiarsi sulla
parte a breve della curva visti i rendimenti offerti divenuti appetibili in considerazione dell’attesa di una Bce che dovrebbe comunque procedere ad implementare un numero solo limitato di rialzi dei tassi anche nello scenario più pessimista. Una riprova di quanto detto è la seguente: la curva dei tassi europea nell’ultimo mese si è irripidita (sono state cioè
meno penalizzati i titoli a breve rispetto a quelli al ungo termine) e contemporaneamente è continuata la penalizzazione del comparto a tasso
variabile governativo (si vedano ad esempio i CCT).
In sintesi: per i gestori la velocità del trend prevale al momento sulla direzione del trend stesso.
Per i gestori di fondi bilanciati ancora una volta il mercato azionario ha offerto l’opportunità di avere un innalzamento dei rendimenti, soprattutto mediante i settori beneficiari del trend di rialzo delle materie prime.
Questi stessi settori (prevalentemente quello energetico) presentano anche 2 ulteriori vantaggi: 1) offrono un profilo di dividendi elevati con spesso frequenza anche elevata; 2) consentono di replicare i sub indici con pochi
titoli, minimizzando pertanto il “costo della replica”. In poche parole è proseguito il c.d. fenomeno della bondizzazione del mercato azionario: i titoli azionari sono stati utilizzati alla stregua di titoli obbligazionari sfruttando il trend sottostante delle materie prime.
Ed arriviamo così al vero protagonista dell’inizio del 2006: le materie prime. Gli hedge fund sembrano aver fiutato la presenza di un trend
strutturale su cui si innestano anche gli effetti favorevoli (solo per i prezzi!) delle tensioni geopolitiche aumentando le posizioni su questo
comparto. Non a caso l’incremento di raccolta più significativa nell’ultimo trimestre del 2005 è stato realizzato dai c.d. Global Macro (+1,77% secondo di dati forniti da Tremont) ossia quei fondi che basano le proprie decisioni di investimento su trend macro, ossia quelli che dovrebbero essere strutturali e non episodici. E’ il caso delle materie prime. Alcune indicazioni al riguardo sono interessanti. Ad esempio si può osservare come le curve a termine di alcune materie prime stiano gradualmente riducendo la
tipica pendenza negativa (c.d. backwardation) fino addirittura a generare un’inversione (speculare ad esempio a quello che sta accadendo sulla curva dei tassi Usa ) come nel caso di un segmento della curva a termine del petrolio WTI. In pratica i prezzi a termine tendono a posizionarsi su livelli addirittura superiori rispetto a quelli spot, fenomeno atipico per
diverse materie prime.
Tale andamento potrebbe essere collegato alla maggiore presenza di investitori stabili sul comparto delle materie prime. I fondi comuni nonché i fondi pensione, oltre alle consuete tre asset class (bond, azioni e liquidità) tendono a prenderne in esame una quarta rappresentata dalle
materie prime. Il motivo? Offrono una buona copertura dal rischio inflazione e soprattutto dal rischio geopolitico, che comincia a diventare
sempre più strutturale dopo gli eventi dell’11 settembre. Tali investitori cercano di sfruttare l’andamento delle commodity in modo indiretto
(acquistando ad esempio azioni collegate al comparto) o diretto (ad esempio mediante l’acquisto di titoli strutturati che beneficano direttamente del trend del sottostante). Le coperture di quest’ultima forma di investimento
si riversano soprattutto sulle scadenze più a lungo termine generando un flusso stabile di acquisto. Gli hedge funds stanno verosimilmente
cavalcando tale trend come evidenziato dalla componente c.d. spreading (pubblicata settimanalmente dalla Commodity and Futures Trading Commission) ossia la componente che tiene conto delle posizioni in spread aperte tra
contratti futures ed opzioni aventi lo stesso sottostante ma diverse scadenze. In sostanza vengono acquistati i contratti future con scadenza
più lunga a fronte della vendita di quelli più a breve termine.
Si comprende allora meglio perché nel mese di gennaio gli hedge Funds abbiano realizzato una performance complessiva del 3,7%, ossia la migliore degli ultimi 5 anni (secondo i dati forniti da Hedge Fund Research Inc.) con i best performer collocati nell’ambito degli hedge funds che investono in titoli tecnologici ed energetici oltre che nei paesi emergenti, con performance nell’ordine del 6%.
Il ridimensionamento dei corsi delle materie prime delle ultime giornate potrebbe pertanto essere ricollegato a prese di profitti da parte degli hedge funds stessi.
Rimane però ancora in essere il trend strutturale al rialzo.
Allo stesso tempo, per i fondi comuni, rimane il problema della gestione di una fase di rialzo dei tassi troppo graduale, in parte legata alla
perdurante domanda di bond da parte dei fondi pensione dettata dalla necessità di ricomposizione del portafoglio (alias + obbligazioni e meno azioni) in parte per nuove normative (si veda l’Olanda nel 2007) ed in
parte per arginare il problema dei deficit ereditati anni addietro (si veda il caso dei fondi pensione Usa).
Ed allora in prospettiva si possono trarre due implicazioni possibili: 1) se i tassi nel primo semestre 2006 continueranno la fase di rialzo in forma molto graduale, è gioco forza immaginare che la parte a breve della curva sia utilizzata come alternativa ai titoli a tasso variabile; 2) la maggiore presenza degli hedge fund nel settore delle materie prime può indurre maggiore volatilità dei corsi ma senza però comprometterne il trend strutturale al rialzo visto che proprio su quest’ultima ipotesi sono costruite le posizioni degli hedge fund stessi.
Infine: gli operatori ora hanno il problema di comprendere meglio le intenzioni della Fed in corrispondenza del cambio al vertice. Probabilmente la Fed potrebbe continuare a rialzare i tassi per tutto il semestre in
corso. Potrebbe però eccedere in tal senso ed allora i sintomi di rallentamento dell’economia potrebbero essere più evidenti nella seconda
parte dell’anno, generando pertanto nuovamente terreno fertile per un calo dei tassi di mercato.
Pertanto il primo semestre, con un’opportuna calibrazione del timing, potrebbe essere utilizzato per posizionarsi al meglio sul mercato
obbligazionario in vista del secondo semestre. In chiave tattica, fino a quando le prospettive di politica monetaria rimarranno incerte in area Euro
e soprattutto negli Usa, è difficile immaginare la ripresa ribassista del trend dei tassi di mercato che potrebbe invece riemergere nella seconda parte inoltrata del 2006. Nel frattempo, come prima citato, la domanda di titoli obbligazionari da parte dei fondi pensione continua come dimostrato dai risultati delle emissioni sul lungo termine sia in Europa che negli Usa. Tale domanda entro certo intervalli di oscillazione dei tassi, non risente del direzionale essendo motivata piuttosto da esigenze di riequilibrio del differenziale di duration tra attivo e passivo.