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Strategia controcorrente: perche’ aspettare maggio per vendere?

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

Milano – Mi si nota di più se vengo alla festa e me ne sto in disparte o se non vengo affatto? Che dici, magari vengo, arrivo in ritardo e mi metto vicino alla finestra, così, di profilo, in controluce. Vabbe’, voi andate, vi raggiungo… no, scusa, non vengo.

La domanda del Nanni Moretti di Ecce Bombo se la pongono probabilmente anche gli analisti e gli economisti (nessuno di noi lo confesserà mai, statene certi). Mi si nota di più se faccio una previsione magari sbagliata, ma fuori dal consenso, o se dico una cosa, magari giusta, che stanno dicendo tutti quanti? Non è solo vanità, è anche la necessità di trovare quei pochi secondi di attenzione tra le tonnellate di mail che i gestori professionali ricevono ogni giorno.

Da tre anni gli economisti e gli strategist di Morgan Stanley cantano coraggiosamente fuori dal coro. Che ci siano o che ci facciano, che ci credano fino in fondo o che stiano sopra le righe per farsi ascoltare non ha nessuna importanza. Popperianamente qualsiasi ipotesi va bene, purché l’argomentazione sia interessante. Se è controcorrente tanto meglio, i neuroni impigriti dal pensiero unico saranno costretti a risvegliarsi dal torpore e a lavorare.
Alcune previsioni sono andate clamorosamente fuori bersaglio. Per tutta la prima parte della ripresa gli analisti di Morgan Stanley hanno puntato su una risalita drammatica dei tassi a lungo, che sono invece scesi. Altre idee si sono invece rivelate clamorosamente corrette, come nel caso di Adam Parker, che nel 2011 ha tenuto ferma per tutto l’anno l’ipotesi di una contrazione dei multipli azionari e ha avuto alla fine piena soddisfazione, con l’SP 500 invariato pur in presenza di utili in forte crescita.

L’ultimo pugno nello stomaco ce lo infligge Vincent Reinhart, che ha raggiunto da pochi mesi Morgan Stanley dopo avere diretto per molti anni la divisione Affari Monetari della Federal Reserve ed essere stato in questa veste il capo economista del Fomc. Fatti e rifatti i conti, aggiornate le stime sulla base degli ultimi dati, controllato il calo degli ordini e la decelerazione delle scorte, insomma, tenetevi forte, viene fuori che il Pil americano sta viaggiando in questo primo trimestre a una velocità annualizzata dell’1.0 per cento.

Poiché mancano ancora tre settimane alla fine del trimestre e dal momento che le revisioni modificheranno, come sempre, quella che oggi ci appare la realtà, questo uno per cento va preso per quanto è, niente di più di un’approssimazione di un lavoro in corso. Le altre case hanno stime più alte e anche Ethan Harris di Bank of America, nell’abbassare le sue, si è fermato per adesso all’1.8 per cento.

In parte è colpa del quarto trimestre del 2011, che è cresciuto del 3 per cento e ha reso così più difficile il compito per i primi mesi del 2012. In parte sono le scorte, come si diceva, che sono state in larga misura ricostituite e non richiedono più la produzione aggiuntiva che ha dato la spinta all’ultima parte del 2011. Inoltre, anche dando per buono l’uno per cento, la media degli ultimi sei mesi sarebbe comunque un dignitoso 2, ben lontano dal double dip che ci si era messi a temere l’estate scorsa.

Detto questo, la domanda impertinente nasce spontanea. Quanto è pronto il mercato ad accettare un dato sotto il 2 per cento?

Per fortuna mancano ben 50 giorni al 27 aprile, quando avremo a disposizione la prima stima ufficiale. Si dà però il caso che il 27 aprile cada tra il primo e il secondo turno elettorale francese. Con un’economia americana forte tutti i problemi diventano piccoli e il socialista Hollande può essere visto come l’uomo mite e pragmatico cui è toccato dire qualcosa di sinistra per farsi eleggere. Con un’economia americana così così, Hollande diventa improvvisamente, nella percezione acuita dal nervosismo, l’acceleratore dello scollamento dell’Europa, l’uomo della rottura franco-tedesca che, isolando la Germania, mette a rischio l’euro molto più della piccola Grecia.

Vendi in maggio, dice il proverbio, supportato peraltro da una solida evidenza statistica interrotta brevemente dalla crisi. Sarà così anche quest’anno? E poi, perché aspettare maggio se già adesso il rialzo di questi cinque mesi comincia a mostrare qualche segno di stanchezza?

No, il messaggio che vorremmo trasmettere non è quello di vendere. Si tratta solo, per il momento, di gettare un po’ d’acqua sul fuoco degli entusiasmi cresciuti con il rialzo. Nelle ultime settimane la sensazione di essere usciti completamente dalla crisi europea e di essere entrati in una fase di solida crescita americana è diventata una certezza diffusa. Questa certezza ha indotto un numero crescente di strategist ad alzare aggressivamente i loro obiettivi per il 2012. I dati positivi sull’occupazione americana, che dovrebbero essere confermati nei prossimi mesi, continuano a dare un forte supporto ai mercati. Giustamente.

L’Europa, dal canto suo, ha sgombrato il campo dall’ipotesi di crisi bancaria. L’economia di Eurolandia, che procede tra alti e bassi, è di difficile lettura, ma fino a questo momento il rallentamento è stato inferiore alle previsioni. Portogallo, Italia e Spagna non possono permettersi di sbagliare neanche una mossa, ma i mercati, prima ostili, sono oggi molto meglio disposti verso l’Italia e neutrali verso Spagna e Portogallo. Il miglioramento è evidente.

Tutto questo è però ormai noto anche al più distratto degli osservatori e quell’effetto sorpresa che fa da acceleratore per i rialzi violenti sta svanendo. Resta però disponibile un’ampia quantità di combustibile lento, quello dei portafogli che sono comunque rimasti sottopesati e hanno assistito al rialzo senza parteciparvi. In mancanza di notizie negative, i cauti e i dubbiosi compreranno lentamente e forniranno un importante supporto al mercato.

Sembra incredibile, ma per molti aspetti stiamo davvero continuando a rigiocare la partita dell’anno scorso, complice in parte una distorsione dei dati dovuta ai fattori di destagionalizzazione, impazziti dopo la crisi dell’inverno 2008. Da allora i modelli incorporano l’idea che l’inverno sia una stagione disastrosa. Aspettandosi il dramma, se il dramma non avviene il modello reagisce gonfiando i dati positivi, mentre il contrario avviene d’estate.

Anche l’anno scorso il Pil del primo trimestre deluse, ma le borse, superato il sussulto per Fukushima e per il rincaro del petrolio, ressero vicine ai massimi fino alla fine di luglio. Per questo 2012, del resto, le nuvole più minacciose, l’Iran e la resa dei conti sulla politica fiscale americana in un clima di scontro incandescente, si profilano per il secondo semestre.

Per il prossimo periodo sarà quindi più importante cavalcare bene le forti rotazioni che caratterizzano le fasi laterali delle borse. Già abbiamo visto, a Wall Street, salire e scendere violentemente l’energia, l’acciaio e molti altri ciclici anticipatori, mentre il resto del mercato ha compensato questi movimenti. Anche la rotazione tra America ed Europa sarà frequente. Per i gestori queste sono fasi in cui si può tornare a vendere volatilità sugli indici mentre si cerca di sfruttare la rotazione tra i settori.

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