(9Colonne) – Johannesburg, 20 giu – E, con oggi, sono venti. Venti giorni di sciopero durissimo del pubblico impiego in Sudafrica. Si tratta della più lunga azione di protesta dai tempi dell’apartheid e vede come protagonisti 700 mila tra impiegati della pubblica amministrazione, medici, insegnanti e anche tanti poliziotti che chiedono un aumento dei salari del 12%, mentre il governo non ne vuol sapere di superare il 6. Il braccio di ferro, iniziato il primo giugno e che sta letteralmente mettendo in ginocchio il paese, non sembra destinato dunque a risolversi in tempi brevi. Anche perché la massa degli scioperanti è sempre più imbestialita contro il governo e la politica dell’Anc. Il fatto è che se da una parte coloro che si trovano in fondo alla piramide del pubblico impiego guadagnano ormai stipendi da fame (basti pensare agli agenti di polizia, pagati 300 euro al mese nel loro “lungo inizio di carriera”, per usare le parole dei rappresentanti della categoria), stipendi con i quali non si riesce certo a far fronte all’impennata dei prezzi registrata soprattutto nei settori degli alimentari e dei trasporti, dall’altra una commissione governativa ha in questi giorni proposto un incremento dei compensi ai manager pubblici, già faraonici, che dovrebbe aumentare dal 30 al 57%. Una proposta talmente fuori dalla realtà che per stopparla è entrato in campo lo stesso presidente Mbeki. Fatto sta che adesso la situazione nel paese è vicina al collasso. La maggior parte delle scuole pubbliche, in pieno periodo di esami, si è infatti vista costretta a sospendere le attività. Più di duemila soldati (i poliziotti ancora in servizio, come si comprenderà, sono una minoranza) sono stati dislocati nei principali ospedali dove i medici ormai assicurano soltanto le massime urgenze, tanto che centinaia di malati sono stati trasferiti in strutture private, che comunque non hanno alcuna intenzione di aiutare coloro che non possono permetterselo, primi tra tutti le centinaia di malati di aids ai quali i nosocomi statali assicuravano un trattamento sanitario quotidiano e che adesso rischiano di diventare una “bomba sociale” di dimensioni bibliche. In tutto ciò la reazione del governo è stata improntata alla maniera forte. In primo luogo con il licenziamento di migliaia di scioperanti nel settore medico, decisione presto rivelatasi un boomerang per parare il quale l’esecutivo è stato costretto a un dietro-front disastroso sul già disastrato piano dell’immagine.
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