Società

SPECULATORI
A UN BIVIO

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*Alessandro Fugnoli e’ lo strategist di Abaxbank. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il carry trader prende i soldi in prestito a interesse e li usa per ricevere un interesse (o a volte un utile) più alto di quello che paga. In questo modo viola due volte la proibizione biblica e coranica del mashsha e della riba, precludendosi il paradiso. Il suo futuro di lungo termine è dunque oltremodo precario e incerto. Viene da pensare al carry trader leggendo Parasite Rex di Carl Zimmer. E’ un libro affascinante, a tratti sconvolgente, che ha avuto grande successo. Introduce i profani nel mondo complesso e immenso dei parassiti.

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L’evoluzione (o il disegno intelligente) hanno prodotto quattro specie di parassiti per ogni specie ospite e si può anche argomentare che l’homo sapiens stesso sia parassitario. Il luogo comune vuole che il parassita sia ozioso e passivo e che non abbia bisogno di molta intelligenza. In realtà alcune specie sono straordinariamente sofisticate, manipolatrici e perverse e si danno parecchio da fare per raggiungere i loro scopi. C’è una specie che, per girare il mondo, si installa nei serpenti e li induce a farsi mangiare dalle mucche, in modo da percorrerne il tubo digerente. Le deiezioni delle mucche vengono poi mangiate da altri serpenti, che vengono a loro volta indotti a farsi mangiare.

Va in ogni caso sfatata l’idea che questo sottomondo sia sempre e comunque dannoso o inutile. Dagli spot televisivi apprendiamo di creature acidofile, bifide e quant’altro che fanno solo del bene, regolano e portano armonia e pace interiore. I carry trader sono stati spesso i probiotici dell’economia globale. Nei primi anni Novanta la Fed ha tenuto la curva dei rendimenti appositamente ripida per permettere alle banche di ricapitalizzarsi (finanziandosi a breve e comprando a lungo) dopo il collasso delle Savings & Loans. Lo stesso ha fatto la Banca del Giappone con le sue banche negli anni successivi.

Dopo lo scoppio della bolla e l’Undici Settembre il carry trading su scala planetaria è stato il meccanismo attraverso il quale le banche centrali hanno reflazionato gli asset e sostenuto in questo modo i consumi, la produzione e l’occupazione. Come l’animale che ogni tanto agita la coda per allontanare le mosche, così le banche centrali periodicamente si sono mostrate preoccupate per gli eccessi dei carry trader e hanno cercato di scrollarne via almeno una parte. In cuor loro, tuttavia, le banche centrali sono state in questi anni ben liete dello sviluppo di questa popolazione, cui hanno fornito denaro illimitato a tasso reale negativo per indurla a comperare bond, case, azioni e perfino lo strumento che più dovrebbe ripugnare a un carry trader, l’oro.

Con il passare del tempo, tuttavia, la nicchia ecologica dei carry trader, un tempo planetaria, si va riducendo in modo a volte preoccupante. Quattro anni di espansione spettacolare (che ha sfiorato perfino l’Europa) hanno reso sempre meno necessaria la loro funzione. L’ambiente intorno a loro è diventato meno amichevole, poi indifferente e oggi, in certe situazioni, perfino ostile. E’ scomparsa la sottospecie che si finanziava in dollari, è in difficoltà quella che si finanzia in euro e mostra da qualche tempo inquietudine quella che sembrava la più adatta alla sopravvivenza, quella che si finanzia in yen.

Da quando, due anni fa, la Banca del Giappone ha smesso di intervenire sullo yen ogni carry trader sa che lavora senza rete e che deve autodisciplinarsi. Avere finanziamenti illimitati a tasso zero può dare alla testa e indurre (margini e ratio a parte) a indebitarsi all’infinito. Se poi lo yen perde valore, passando da 102 a 121 contro dollaro, il carry trading diventa eroina pura. Finanziarsi in yen che si svalutano rende conveniente anche la detenzione di dollari in banconote. Succede però che, da dicembre, lo yen dà segni di risveglio.

La Banca del Giappone prepara il terreno per un ciclo di aumento dei tassi. Due ondate di panico, di cui una in corso, hanno portato lo yen da 120 a 115. Un incubo ricorre nelle notti del carry trader, quello del rialzo improvviso dello yen di quasi il 20 per cento nel 1999. Vorremmo a questo punto offrire qualche conforto alla nazione dei carry trader. Lo yen diventerà certamente bidirezionale, ma non è detto che un grande rialzo stia per partire. La Banca del Giappone ha imparato, come tutte le banche centrali, ad apprezzare i vantaggi di una lunga e paziente preparazione del mercato al rialzo dei tassi e agisce con larghissimo anticipo. I rialzi, dal canto loro, saranno molto lenti e quasi impercettibili. Troppe volte, in questi anni, la Banca del Giappone ha provato ad alzare i tassi (e il governo ad alzare le tasse) pensando che la ripresa fosse consolidata, salvo poi scoprire che non lo era affatto. Questa volta l’intenzione è di muoversi con i piedi di piombo, magari fra sei mesi.

Il differenziale tra i tassi giapponesi da una parte e quelli americani ed europei dall’altra è dunque destinato ad allargarsi ancora, prima di restringersi a partire dall’anno prossimo. Questo però non garantisce che lo yen se ne torni ai minimi e lì resti tranquillo. Nei prossimi mesi (e ancora di più nel 2007) vedremo infatti una rivalutazione generale dell’Asia, a partire dal renminbi, che si appresta ad accelerare il suo apprezzamento.

Questo ampio processo (per il bene di tutti in larga parte sostituivo di un aumento dei tassi asiatici) coinvolgerà in qualche misura (probabilmente limitata) anche il Giappone. Il carry trader prudente cercherà d’ora in avanti di diversificare le sue valute di finanziamento, privilegiando un mix di yen e di euro. Cercherà inoltre di reinvestire in area euroasiatica (più Brasile), evitando di esporsi troppo sugli Stati Uniti. Rimangono per lui verdissimi pascoli la lira turca, con il suo 8 per cento di rendimento reale, e il real brasiliano.

Il processo di convergenza che l’Italia ha conosciuto nel decennio scorso e che poi si è allargato alla Grecia e all’Est Europa, prosegue oggi in Turchia e Brasile. Il meccanismo è sempre lo stesso. Un paese decide di uscire dall’inflazione. Alza i tassi reali e in questo modo attira capitali dall’estero. I capitali in arrivo rafforzano la valuta locale e in questo modo si abbassa ulteriormente l’inflazione, alzando i tassi reali.

Per l’investitore straniero è il massimo che si può chiedere alla vita, ovvero guadagni di cambio accompagnati da tassi nominali da favola. Fino a quando il paese rimane competitivo il gioco prosegue. Sia chiaro. Un’eventuale rivalutazione drammatica dello yen e l’affollarsi all’uscita di tutti i carry trader potrebbero avere conseguenze pesanti anche per chi il carry trading non sa nemmeno che cosa sia. Uno squeeze sullo yen può costringere a smontare precipitosamente posizioni lunghe di borsa, materie prime e bond, trascinando verso il basso (temporaneamente ma dolorosamente) tutti gli asset. Si tratta di un rischio da non escludere, soprattutto nel caso di un’accelerazione speculativa del rialzo delle borse. Non è però un rischio probabile. Le banche centrali conoscono la delicatezza del problema e agiranno preferibimente con piccole e frequenti scrollate, come quelle che stiamo vedendo sullo yen.

Quanto al carry trading intracurva, l’inversione sempre più pronunciata sulla curva dollaro potrebbe indurre a mettersi corti di parte lunga per stare in cash. Chi è ancora (giustamente) ottimista sull’espansione globale potrebbe essere tentato. Meglio evitare, però. Per portare a casa un carry modesto si andrebbe a rischiare grosso in caso di shock esogeno (aviaria, petrolio, geopolitica) e di conseguente spike dei corsi dei bond.

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