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SORPRESA, ALL’ESTERO LA VITA COSTA MENO

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(WSI) – Uno dei pregi dell’euro è stato quello di averr aperto gli occhi agli italiani, popolo di infaticabili turisti, su quanto (e di che qualità) si può comprare con la stessa moneta nei vari paesi d’Europa. E finalmente si scopre che i servizi – alberghi, ristoranti – e i beni (la spesa, l’abbigliamento) sono quasi sempre più economici oltrefrontiera. Dove, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, gli stipendi sono di gran lunga superiori. Ma questa elementare verità sfugge spesso ai convegnisti italiani, sindacalisti o imprenditori che siano.

Anche al meeting di Cl di Rimini abbiamo assistito a un copione un po’ datato. Gli industriali, a cominciare dal vicepresidente della Confindustria, Marco Tronchetti Provera, invitano il governo e i sindacati alla moderazione.

I sindacati replicano a loro volta sollecitando il governo a rivedere l’inflazione programmata, il parametro base per il rinnovo dei contratti. Su tutto incombe appunto una stagione contrattuale che riguarda circa 6 milioni di dipendenti, 3,5 dei quali nel settore pubblico.

Si tratta di scambi di segnali, come sempre nei convegni, che hanno una loro utilità per capire l’evolversi degli equilibri di potere; ma presentano anche un limite: sono tutti circoscritti all’interno del Palazzo.

Per tutti, soprattutto per gli imprenditori e i sindacati, sarebbe invece opportuno un tuffo nella realtà quotidiana, italiana ed europea. Valgono come piccolo e parziale esempio due lettere pubblicate il 23 e 24 agosto dal Corriere della Sera, ultime di una lunga serie.

Un lettore scrive per sapere come mai il governo non si muove subito per arginare il continuo aumento dei prezzi, soprattutto negli alimentari.
Un altro, reduce da una vacanza in Carinzia, dichiara di non sapere se essere “allibito o vergognarmi” per il costo della vita decisamente più alto in Italia di quello trovato in Austria.
Già, perché tra i pregi dell’euro c’è di aver aperto gli occhi agli italiani, popolo di infaticabili turisti, su quanto (e di che qualità) si può comprare con la stessa moneta nei vari paesi d’Europa.

E finalmente si scopre che i servizi – alberghi, ristoranti – e i beni (la spesa, l’abbigliamento) sono quasi sempre più economici oltrefrontiera. Non solo. Almeno nel centro Europa, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, gli stipendi sono di gran lunga superiori. La conseguenza è ovvia: il potere d’acquisto per i residenti è di gran lunga migliore. Questa elementare verità sfugge spesso ai convegnisti italiani, sindacalisti o imprenditori che siano.

Tutti presi dal chiedere un (giusto) impegno del governo, sembrano non capire che cosa potrebbero, anzi dovrebbero intanto fare essi stessi.

Per esempio gli industriali potrebbero concedere retribuzioni un po’ più allineate con gli standard europei, legandole magari realmente al merito e alla produttività. A parole si ripromettono di farlo, ma poi trovano assai più comodo rifugiarsi nella pratica del contratto eguale per tutti.

Pratica, quest’ultima, che è la bandiera dei sindacati, che spesso ne ha fatto la propria ragione di essere e di sopravvivenza.
Eppure una migliore retribuzione del lavoro ha fatto sì che, proprio in Germania, gli operai delle aziende in crisi, dalla Siemens alla Volkswagen, abbiano accettato di lavorare di più a parità di stipendio: un ammortizzatore sociale certo più efficace della nostra cassa integrazione.

Infine i commercianti, anch’essi imprenditori. Hanno responsabilità gravissime nell’avere approfittato dell’euro per portare i prezzi italiani a livelli mai visti prima, e poi, con la crisi dei consumi, nell’aver tentato di rifarsi con ulteriori rialzi anziché con accorte politiche di marketing.

Il risultato è quello che è oggi sotto gli occhi e sulla bocca di tutti. L’Italia ha un costo della vita tra i più elevati dei paesi industrializzati, e contemporaneamente una politica retributiva livellatrice verso il basso, basata in gran parte su automatismi, fatta apposta per garantire i già garantiti e quasi per disincentivare il merito, l’iniziativa e i giovani.

In questa situazione il governo (quello attuale così come i precedenti di colore diverso) entra relativamente. Può, sì, vigilare sui prezzi. Può approvare delle leggi che favoriscano la concorrenza. Ma non può obbligare soggetti privati a pratiche virtuose.

Un esempio? La legge sul commercio firmata dall’ex ministro diessino, Pier Luigi Bersani. Una buona norma, che facilita le licenze per la grande distribuzione. Evidentemente non basta: abbiamo i supermercati quasi quanto la Germania.
Ma i prezzi restano alti, gli stipendi più bassi e dei servizi è meglio non parlare.

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