I violenti e inaccettabili scontri avvenuti sabato a Roma hanno di fatto cancellato le ragioni di una protesta, quella degli «indignados», che voleva manifestare il profondo disagio vissuto oggi da una parte rilevante della popolazione, specialmente ma non solo giovanile, del nostro e di molti altri Paesi. L’allargamento delle disuguaglianze sociali, della disoccupazione, della mancanza di prospettive turbano gli italiani. Non a caso i cittadini esprimono in maniera sempre più accentuata pessimismo e sfiducia.
Questo stato d’animo ha coinvolto praticamente tutti i cittadini: metà della popolazione afferma di essere «molto» e un altro 47% si definisce «abbastanza» inquieto. Ma non si tratta solo di angoscia per le sorti economiche del Paese: l’insicurezza pare riguardare tutti, anche a livello personale — lo dichiara 1’84% — per le prospettive della condizione economica propria e della propria famiglia. Insomma, il Paese è largamente pessimista. Per la situazione presente e per l’avvenire.
Non sorprende, dunque, che anche le previsioni per il futuro dell’economia siano negative: quasi il 60% ritiene, infatti, che l’anno prossimo vedrà una ulteriore evoluzione in peggio della crisi attuale. E più di tre italiani su quattro intravedono il rischio che l’Italia finisca in una crisi come quella greca. Di fronte a questo stato di cose, occorrerebbe una forte iniezione di fiducia da parte delle istituzioni, che riesca a mutare il clima di opinione negativo e diffondere maggiore ottimismo sia in termini di atteggiamenti, sia, specialmente, di comportamenti. E ciò che la gran parte della popolazione, compresa una larga porzione dei votanti per i partiti di governo, chiede all’esecutivo.
Ma che, sempre secondo la maggioranza degli italiani, non trova, per ora, riscontro nei fatti. Nelle ultime settimane, era stata riposta qualche attesa nel più volte annunciato (ma per ora mai realizzato) «decreto Sviluppo» e nei diversi provvedimenti di rilancio che avrebbe dovuto contenere. Il consenso, rilevato dai sondaggi, per le misure di cui i giornali hanno dato anticipazione è, tra gli elettori dei partiti di governo, relativamente esteso. Perfino il condono fiscale trova il favore della netta maggioranza dei votanti per il Pdl, (ma non, significativamente, di quelli della Lega e, com’era prevedibile, degli elettori dei partiti di opposizione) e sembrerebbe poter costituire un possibile fattore di rilancio della fiducia verso Berlusconi da parte del suo elettorato.
Ma, in assenza di iniziative da parte del governo, la maggioranza degli italiani continua a vedere con favore le sue dimissioni. Ormai solamente il 17% — ma molto meno, il 13%, tra i giovani fino a 24 anni — auspica la permanenza di Berlusconi alla guida dell’esecutivo. La percentuale è in diminuzione nel tempo: era il 27% a gennaio e il 19% un mese fa. Colpisce, a questo riguardo, il trend relativo agli elettori della Lega, che costituisce una componente fondamentale del governo: a metà settembre il 40% dichiarava di desiderare la continuazione del governo Berlusconi, oggi questa quota si è ridotta al 22%.
Anche tra gli elettori del Pdl l’idea di una prosecuzione dell’attuale governo, pur maggioritaria, si restringe: oggi si dichiara contrario il 22%, a fronte del 20% del mese scorso. Questo atteggiamento si ripercuote anche sulle intenzioni di voto, che vedono un’ulteriore diminuzione del favore al Pdl e una crescita dei consensi per i partiti di centro (in particolare Fli di Fini) e per le forze più marcatamente di sinistra (in particolare Sel). Si allarga invece la percentuale di chi condivide la prospettiva di un nuovo esecutivo guidato da un’alta personalità istituzionale: questa è oggi l’opinione di più di un italiano su quattro (26%, era il 17% a metà settembre). Ma, come noto, la gran parte dei cittadini vuole le elezioni anticipate: le chiede in questo momento il 43%. Si estende, cioè, l’opinione che sia meglio «sparigliare le carte» e provare a percorrere una nuova via per lo sviluppo del Paese.
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