Società

SOLO TRE ITALIANI
AL FORUM DI DAVOS

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(WSI) – Conta per quel che conta, non c’è da fasciarsi la testa. Da farci un bel pensierino, però, direi di sì. Da mercoledì a domenica anche quest’anno, come da più di 30 a questa parte, l’ex professore di business school tedesco di nascita ma cittadino del mondo Charles Schwab riunisce a Davos migliaia di planetarchi. Il World Economic Forum è un baraccone eccessivo, come tutti i megaeventi globalizzati, ma Schwab fu tra i primi a capire che l’elite delle grandi multinazionali e delle banche, dei governi e delle accademie mondiali poteva prestarsi a un duplice compito. Rallegrarsi, tra gli eletti invitati nei panel dei forum è rilucere nell’empireo. Fruttare, visto che le diverse migliaia di manager dei maggiori gruppi mondiali per partecipare ai forum e chiacchierarvi d’affari tirano fuori 12 mila dollari a cranio per l’evento e 25.600 di quota annuale d’iscrizione.

Schwab è un dritto. Qualche anno fa è puntualmente incappato in uno scandaletto, usava fondi raccolti a fini non profit investendoli in borsa. A 65 anni è senza eredi, dei suoi due vice Philippe Bourguignon è andato a guidare Eurotunnel donde è stato cacciato, l’ex presidente di Costa Rica Figueres è stato costretto a dimettersi dopo che sono emersi 900 mila dollari versatigli da aziende francesi senza che lui li avesse dichiarati.

Fattane la tara, visto che il denaro è interesse e non bisogna averne timore, Davos è un classico termometro dell’agenda internazionale, e di chi «conti» nel fissarla. Schwab è diventato più abile di un segretario dell’Onu. Se lo sogna, il Palazzo di Vetro, uno scontro come quello tra Arafat e Shimon Peres nel 2001. Anche quest’anno, mortaretti. Ci sarà Abu Mazen, e oltre a Peres all’ultimo momento accetterà forse il tosto ministro delle Finanze d’Israele, Netanyahu. C’è Tony Blair che apre i lavori come presidente di turno del G8, insieme ai cinque vicepresidenti del Wef che da soli capitalizzano più di una media borsa europea, tra i vari Gates di Microsoft, Vasella di Novartis, Prince di Citigroup.

Quanto al mondo, una filza di presidenti africani, decine di principi degli emirati e tre della Corona dell’Arabia Saudita, il premier e vicepremier iraniano e diversi ministri iracheni e afghani, i figli di Gheddafi e Mubarak e diversi componenti dell’Autorità palestinese, il vicepremier israeliano Olmert e il viceprimo ministro russo Zhukov. Una ventina di congressmen americani tra cui McCain e James Leach oltre all’ormai habitué Clinton, una ventina tra premier e vice dall’America Latina, una decina dalla Cina e una schiera di asiatici. Del resto, di eventi e forum nei tre giorni se ne tengono in contemporanea e a programma serrato oltre 200, solo il programma è di 50 cartelle.

Restringendo il cerchio all’Europa, a tenere discorsi speciali oltre a Blair saranno il premier turco Erdogan, quello ucraino Yushchenko, quello tedesco Schroeder, il presidente della Commissione Europea Barroso. Ma se scorrete i forum più impegnativi dell’agenda politica mondiale, da quelli mediorientali alla riforma dell’Onu, dalla lotta al terrorismo al rapporto transatlantico da ricostruire alle incomprensioni tra Occidente e Islam, in ciascuno dei questi trovate esponenti europei di spicco, ministri tedeschi come Koch Weser, petrolieri francesi come Thierry Desmarest.

Ma degli oltre duemila panelist che sono la crema del mondo a giudizio di Schwab, dispersi anche in forum più impalpabili e marzulliani come il valore dei sogni e i soldi non fanno la felicità, troverete tre soli italiani tre. Due banchieri, Matteo Arpe di Capitalia e Corrado Passera di Intesa, e Andrea Giro che è il responsabile esteri della Comunità di Sant’Egidio. Una fedele, piccola instantanea per capire a che cosa sia ridotto purtroppo il peso dell’Italia tra le classi dirigenti mondiali. Di grandi imprenditori nemmeno uno, o son morti o sono falliti, e i nostri «grandi pubblici» all’estero non sono riveriti. Di intellettuali, attori, accademici, scienziati, neanche l’ombra. Politici, neanche a pagare.

Zero Italia anche ai forum sui temi europei, l’allargamento dell’Unione oppure perché da noi si stenti tanto a creare posti di lavoro e crescita. Ministri croati e ungheresi, belgi e irlandesi, oltre che naturalmente britannici francesi e tedeschi. L’Italia si vede riconosciuta per potere temporale ciò che ormai solo conta da noi, non la politica né a giudizio di Schwab le istituzioni, ma appunto solo due banchieri. E come potere spirituale sant’Egidio, il cui rappresentante per altro interviene tra esperti di politica estera come sostituisse la Farnesina.

In questo paradosso c’è più di una punta di amara verità. C’è un paese che a torto viene rappresentato in declino, mentre lo è la sua classe dirigente, stremata nei vecchi partiti e inguaiata nelle vecchie imprese. Eppoi certo, ci sono i banchieri. Arpe interviene in un forum sul «successo dei manager». Geronzi del resto sabato lo aveva detto, che è fiero tra l’altro di «far crescere giovani». Come lo è di aver costruito in vent’anni una banca che «non teme la concorrenza, nessuna concorrenza». Infatti, la concorrenza non c’è. Ed è per questo, che le classi dirigenti declinano, e per crescere i cuscini di satrapìe sono preferiti al premio di rischio.

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