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SISTEMA FINANZIARIO VICINO AL COLLASSO

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(WSI) – È panico a Washington. Questa è la lettura del salvataggio di AIG, la più grande compagnia assicurativa del mondo. Nel giro di 48 ore l’amministrazione Bush e la Federal Reserve sono state costrette ad un improvviso cambiamento di rotta. Nella serata di domenica scorsa le autorità americane avevano lasciato fallire la banca di investimento Lehman Brothers, sostenendo che spettava al mercato e non ai contribuenti americani pagare il conto delle spericolate avventure di Wall Street. Ma già martedì scorso questi propositi sono stati abbandonati per salvare in extremis la AIG con un prestito di 85 miliardi di dollari elargito dalla Federal Reserve, che verrà convertito in una partecipazione azionaria del 79,9% dello Stato federale nel colosso assicurativo.

Le ragioni di questo clamoroso voltafaccia sono le seguenti. Il mercato finanziario ha dimostrato di non essere in grado di digerire il fallimento della Lehman. Lunedì e martedì scorsi il mercato interbancario si è letteralmente chiuso e i costi di rifinanziamento delle banche sono esplosi. Per dare un’idea di quanto è successo, i costi di rifinanziamento giorno per giorno in dollari di grandi istituti, ritenuti tra i più solidi, come JP Morgan e Credit Suisse sono balzati dal 3% al 7%; altrettanto è successo per i tassi Libor a più lungo termine. Se il livello di questi tassi non fosse sceso, vi sarebbero state conseguenze immediate ed imprevedibili su altre banche, già in difficoltà, che non avrebbero potuto sostenere costi così elevati.

Vi sarebbero stati gravi ripercussioni anche per imprese e famiglie, perché sarebbero schizzati anche i tassi su ipoteche e crediti commerciali. Il fallimento di AIG sarebbe stato indubbiamente l’ultima ciliegina che avrebbe definitivamente chiuso il mercato interbancario e fatto collassare l’intero sistema finanziario.

Dunque la scelta di salvare e far passare sotto il controllo del Governo federale la AIG era obbligata. Essa ha avuto l’effetto immediato di ridurre un po’ la tensione sul mercato interbancario e ha permesso ieri alle banche di tirare un temporaneo sospiro di sollievo. Questa mossa non è comunque risolutiva: essa non elimina il tarlo del dubbio creato dal fallimento della Lehman. La possibilità che altri istituti vengano lasciati fallire è destinata a mantenere alti i costi di rifinanziamento del sistema bancario e ad accelerare i tempi di questa crisi. Inoltre questa scelta pone sul tappeto una questione essenziale: quali istituti salvare e in base a quali criteri.

La AIG non è una banca, ma una compagnia di assicurazione che nella fase di euforia della nuova ingegneria finanziaria si era lanciata, tra l’altro, a garantire il valore delle obbligazioni che Wall Street ha continuato a sfornare negli ultimi anni. Tra queste obbligazioni vi sono anche i titoli in cui sono stati impacchettati i mutui ipotecari americani. L’esposizione, che ammonta a circa 441 miliardi di dollari nei confronti di questi Credit Default Swap, costringe AIG a compensare la loro continua perdita di valore. Per questo motivo martedì AIG doveva essere salvata.

Senza il prestito della Federal Reserve la compagnia ieri non avrebbe avuto quei circa 70 miliardi di dollari che ha poi versato alle sue controparti. Il mancato pagamento avrebbe provocato l’immediato fallimento della AIG, distrutto il mercato dei Credit Default Swap, che supera i 60.000 miliardi di dollari, provocato enormi perdite alle controparti ed inferto un colpo al sistema bancario.

La «nazionalizzazione» dell’80% della maggiore compagnia assicurativa del mondo, che segue il crac della Lehman e i salvataggi della Merrill Lynch e ancor prima delle due agenzie Fannie Mae e Freddie Mac e in marzo della banca di investimento Bear & Stearns, è un’ulteriore dimostrazione della profonda crisi del sistema bancario occidentale ormai sull’orlo del collasso. Gli avvenimenti di questi giorni ci hanno portati ad un punto di svolta: la crisi sarà più rapida e più grave di quanto si potesse ancora pensare la settimana scorsa.

Lo stato «comatoso» del sistema bancario è destinato ad avere un impatto profondo sull’economia reale. E contro questa crisi non bastano i tradizionali strumenti di politica economica. Le continue iniezioni di liquidità delle banche centrali danno solo un po’ di ossigeno a istituti bancari a corto di liquidità e di capitali. Lo scopo degli istituti di emissione è sostituirsi ai mercati nei rifinanziamenti più urgenti del sistema bancario: gli effetti di queste erogazioni miliardarie sono però limitati nel tempo e non riescono ad evitare che la crisi bancaria si trasmetta all’economia reale attraverso il canale della restrizione e dell’aumento del costo del credito concesso a imprese e famiglie.

Inoltre la crisi del mercato immobiliare americano e di quelli spagnolo e britannico e la brusca frenata dell’economia al di qua e al di là dell’Atlantico fanno prevedere da un canto che le gravi difficoltà del settore finanziario sono destinate ad ulteriormente aggravarsi e dall’altro ad accelerare i tempi di una crisi economica che non può più essere evitata.

Ora occorrebbe porsi un obiettivo realistico: limitare i danni del collasso del sistema bancario e della grave crisi economica alle porte e creare le premesse per un rilancio della crescita. Sono necessari dunque misure draconiane nell’immediato e nel contempo capacità di prospettare un possibile futuro dopo questo sconquasso.

Agire sulle cause di questa crisi vuol dire regolare severamente i responsabili della situazione attuale, gli attori della nuova ingegneria finanziaria, che secondo lo stesso presidente Bush hanno trasformato il sistema finanziario in un casinò in base ai principi liberisti della deregulation e della capacità del mercato di autoregolarsi. Occorre inoltre riavviare politiche di investimenti infrastrutturali e di redistribuzione della ricchezza. E tutto ciò deve essere fatto tenendo conto che la geografia economica del pianeta è completamente cambiata. Insomma, occorre una nuova Bretton Woods che stabilisca le regole economiche, finanziarie e commerciali del mondo.

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