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SILVIO VS L’ UNIONE: TORNA L’ ARMA DELLA JELLA

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(WSI) – Non saranno più comunisti, ma sono diventati se possibile qualcosa di peggio: menagrami. «Se voi andate in televisione tutte le sere e dite che l’Italia è un paese che va alla malora, gli altri finiscono per considerare che è davvero così!». Vive proteste dai banchi dei menagrami. «E allora smettetela, una buona volta, di fare i disfattisti!».

Alla Camera Silvio Berlusconi è tornato su un tema che gli è caro: il malocchio. «Tecnicamente queste vostre profezie si chiamano “self fullfilling profecies”, profezie che si autoavverano. Io, nella mia vita non priva di successi, almeno questo me lo vorrete accreditare…» (nooo! urlano disfattisti che non guardano la tv e non seguono il calcio) «io nella mia vita non ho mai visto alcuno giungere a buoni risultati partendo da una posizione di pessimismo!».

Non sapevano, gli jettatori di sinistra, che lo stesso argomento fu usato a Palazzo Chigi da Prodi: «Mio padre mi ha insegnato l’ottimismo. Diceva sempre che quando i soldati vanno in guerra quelli con la faccia triste sono quelli che non tornano mai». L’urlo – «disfattisti!» è ancora più antico: lo lanciò Cadorna alla vigilia di Caporetto (e nelle quattro lettere scritte a Boselli, quello vero, per giustificare la rotta); lo ripeté il Duce in guerra, con i noti risultati. Ma è con l’avvento del bipolarismo che l’accusa di malaugurio si fa frenetica. «Non parliamo più di Berlusconi, anche perché penso che porti sfiga» se ne uscì a sorpresa Violante. Seguiva un elenco di prove: l’eruzione dell’Etna, il terremoto del Molise, le numerose alluvioni, il sottomarino russo affondato durante la visita di Putin.

«L’introduzione della sociologia jettatoria nella cultura dei membri della sinistra è una novità talmente scioccante da meritare qualche riflessione» sdottoreggiò Adornato. «La sinistra ci prova con la jella» sintetizzò Libero, che in queste occasioni non delude mai.

Rinfrancati dall’esempio di Berlusconi, ieri finalmente tonico, i suoi deputati si sono accaniti. «Siete vecchi, siete come Carlo X d’Orléans, che reintrodusse a corte le parrucche e la cipria!» cita l’on. leghista Bornacin (ovviamente Carlo X d’Orléans non è mai esistito, c’era però un Borbone che si chiamava così e il dolce pomeriggio romano non è incline ai dettagli). I parrucconi tentano di reagire. «Il suo intervento presidente è stato variopinto» dice Boselli, l’altro. «Presidente non si appelli al destino cinico e baro» ci prova Rutelli. «Il contratto con gli italiani è finito, fallito, morto. Non c’è più!» ammonisce Cossutta, che in effetti con il tempo viene ad assomigliare in modo impressionante a un anziano e saggio gufo. «Come non c’è più!» sbotta Berlusconi, inquieto.

A questo punto il premier è tentato da un’altra risorsa non estranea ai Palazzi, compresi i suoi: le corna. E’ che i precedenti non sono favorevoli. Fece le corna Leone in visita a Pisa (più altre volte in privato), ma non evitò la caduta. Fece le corna Craxi – invano – mentre Martelli in un consiglio nazionale del ’92 vaticinava anni difficili per il Psi. Celebri le corna di Berlusconi nella foto di gruppo del vertice di Caceres, alle spalle del ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué. Era il febbraio 2002. Cinque mesi dopo Piqué fu degradato alla Ricerca scientifica. L’anno successivo fu cacciato dal governo ed esiliato in Catalogna, dove alle elezioni condusse il Pp al 10, un quarto della media nazionale.

Neppure Berlusconi ha avuto molta fortuna. L’elenco delle disgrazie di questi quattro anni è uno dei suoi numeri preferiti, riproposto ancora l’altro ieri alla Camera: le due Torri, le due guerre, il boom della Cina, la corsa dell’euro (Buttiglione aggiunse una volta la mucca pazza e la Sars). Anche stavolta il Cavaliere parte subito forte con la «congiuntura particolarmente sfavorevole», ma le proteste della sinistra purtroppo lo interrompono. Gaffe di Casini: «Sono considerazioni come tante altre, non mi sembra che destino particolare motivo di turbamento…». Occhiataccia di Berlusconi. Casini: «Volevo solo dire: non turbatevi!».

Fassino non ci sta: «Questa storia del pessimismo va affrontata: non sono affatto pessimista sull’Italia!». Urlo del sottosegretario alle Attività produttive Valducci: «Ma guarda il tuo aspetto!». Fassino: «Se chiediamo agli italiani come definirebbero l’Italia, quasi tutti risponderanno che è un bel paese. L’Italia è bellissima». Grido da destra: «Tu no!».
I continui riferimenti al soprannaturale creano un’atmosfera in cui tutto pare possibile. «La Democrazia cristiana riconferma che sosterrà il governo» dichiara testuale l’on. Rotondi. Il francesista della Lega Bornacin evoca le difficoltà di Chirac (il premier lo tranquillizzerà: con Parigi «ci sentiamo tutte le settimane»). A un tratto si vede pure Berlusconi con gli occhiali, cinque secondi non di più, il tempo di leggere un biglietto. Chiusa: «Comunque, spero che non vorrete arrivare a imporre al presidente del Consiglio di diventare un pessimista. Questo non vi riuscirà certamente. Sappiate che noi ci accingiamo ad un anno straordinario. Tanti auguri!».

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