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SILVIO TORNA SOCIALISTA

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(WSI) – Quando un capo di governo dice che bisogna dare aiuti di Stato alle imprese, i casi sono essenzialmente tre. Il primo è che voglia fare piaceri ad amici, o amici degli amici. Il secondo è che sia un socialista, un collettivista, uno statalista, chiamatelo come meglio vi piace. Il terzo è che abbia paura di quel che può succedere, se non si fa fare allo Stato quel che lo Stato pensate non dovrebbe fare quasi mai, almeno se siete un liberale.

Le parole di Silvio Berlusconi pronunciate ieri rientrano in questa terza categoria. Dobbiamo sperarlo, almeno. In caso contrario, alla luce delle pessime prove date dallo Stato italiano nella storia quando ha allungato la sua mano nell’economia, poveri noi. Per questo abbiamo deciso un titolo che è un po’ anche un bonario rimprovero. Fronteggiare la crisi disastrosa dei mercati e impedire che si scateni come un Vajont sull’economia reale è un conto. Purché lo Stato faccia il bagnino che si limita ad evitare a chi affoga la morte finché il mare è grosso, e non che torni a essere il Dio delle tempeste. Quell’idea bislacca, lasciamola agli statalisti.

Diciamo che a dei liberali a denominazione d’origine controllata non può piacere, una frase testuale come quella per la quale gli aiuti di Stato sono «un imperativo categorico». Possono essere un rimedio temporaneo per evitare collassi sistemici e disastri generali sfuggiti al controllo di ogni forza del mercato, questo sì. Ma allora bisognerebbe presentarli senza enfasi né prosopopea, come si trattasse di un salvagente a dei naufraghi che altrimenti hanno come unica alternativa di essere inghiottiti dalle onde.

Berlusconi coglie comunque da par suo, anche con l’esagerazione verbale che gli è da sempre propria, un punto che è di fondo, della crisi in atto. Allo Stato interventista sono costretti a tornare tutti, a cominciare dai Paesi anglosassoni che con Reagan e la Thatcher l’avevano confinato negli scantinati. America e Regno Unito vedono i capi di governo e i ministri del Tesoro fare i nomi e i cognomi delle banche e dei banchieri che devono essere salvati dal capitale pubblico. Altrettanto avviene in Francia, Germania e in tutta Europa, dove lo Stato a dire il vero era sempre rimasto ben attivo e presente. Questo, almeno, da noi non si è visto ancora. Il governo Berlusconi sin qui ce lo ha risparmiato.

Allineati e scoperti

Ora il Consiglio dei ministri restringerà la possibilità di scalate ostili alle imprese italiane. L’Italia era rimasta una felice eccezione, rispetto al giro di vite a difesa degli assetti proprietari nazionali e graditi alla politica che Francia e Germania avevano impresso alle norme che disciplinano le offerte pubbliche d’acquisto. E questa eccezione è destinata a rientrare per evitare di trovarci Eni, Enel o Finmeccanica nelle mani di chissà chi, ora che per i fondi sovrani cinesi o di qualche Paese arabo non amico potrebbe essere uno scherzetto portarseli a casa, a questi valori di Borsa.

È una misura che il governo ha buon gioco a presentare come allineata all’Europa. A me non piace, visto che su Eni, Enel e Finmeccanica in realtà il governo ha ancora la possibilità di vietare scalate ostili in caso che esse vengano portate da soggetti la cui identità possa farli considerare una minaccia per la “strategicità nazionale” del business energetico della difesa.

Comunque, capisco che il governo voglia allinearsi a Parigi e Berlino. In definitiva, anche gli americani vietarono nel 2003 a Dubai di controllare porti strategici degli Stati Uniti, e nel 2005 bloccarono la scalata portata da un’azienda di Stato cinese alla compagnia petrolifera Unocal. Detto questo, quando si comincia a parlare di aiuti all’auto bisogna andarci piano. Concedo a Berlusconi che ieri stava parlando non di nuovi incentivi a Fiat per l’eventuale sostegno alle vendite, ma della richiesta avanzata da Sergio Marchionne a Bruxelles. La Commissione europea ha posto obiettivi iperpenalizzanti di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2012, e per di più in un modo per il quale a essere più penalizzati sono proprio i produttori di autoveicoli a più bassa emissione, come la Fiat, rispetto ai tedeschi di Audi e Bmw.

Marchionne ha fatto notare che in quel caso i massicci investimenti necessari andrebbero almeno incentivati. Ed è a questi aiuti comunitari che si riferiva Berlusconi. Nel quadro della battaglia italiana, vinta in questi giorni, per obiettivi ambientali più realistici, e meno penalizzanti per imprese e sviluppo.

Un film già visto?

Ma poiché in Italia quando si parla di aiuti statali all’auto tutti pensano a quel che è già avvenuto per decenni, con la grande impresa torinese aiutata a più riprese mentre per milioni di altre piccole imprese italiane lo Stato resta solo esoso esattore delle tasse e fonte di complicazioni e problemi, allora dico io che bisogna andarci molto ma molto cauti. Meglio evitare confusioni pericolose, prima che ci ritroviamo collettivisti di ogni risma pronti a darci lezioni e a salire in cattedra.

Lo Stato deve ridare fiducia al sistema finanziario, con regole nuove e organi di vigilanza all’altezza di un sistema che ormai è mondiale, non nazionale. Lo Stato può e deve facilitare il credito alle imprese, alle quali oggi arriva col contagocce. Lo Stato può e deve pensare a programmi straordinari di riduzione fiscale, oggi che la crisi dell’economia reale inizia a mordere col rischio che ci accompagni per un biennio. Di tutto questo non bisogna solo parlare e discutere fuor da ogni ideologismo e tabù, ma bisogna anche ricercare modelli nuovi, perché nessun problema attuale è in realtà eguale a quelli del passato. Purché non si ridia l’illusione che sia lo Stato a risolvere i problemi per sempre. Nel medio e lungo termine, quando l’economia riprende, lo Stato resta lui, il problema.

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