(WSI) – Che il livello di sopportazione del premier verso Tremonti avesse oltrepassato il livello di guardia lo si era capito martedì sera. Quando durante la puntata di Ballarò Silvio Berlusconi ha alzato la cornetta per attaccare gli ospiti in studio: «Da parte mia – ha scandito con stizza – non c’è stato mai un sostegno all’evasione fiscale, sono il primo contribuente d’Italia. Non accetto che in una tv di Stato si dicano queste menzogne».
È stato qualcosa di più del solito sfogo verso giornalisti e tv. Perché in studio c’era Giulio Tremonti, che della manovra è stato il principale artefice. E la chiamata in diretta del premier è suonata come una critica – neanche troppo implicita – al titolare del Tesoro. Che, in studio, non stava difendendo fino in fondo l’operato del governo. Proprio così. Coi suoi il Cavaliere ieri è sbottato: «Ogni volta che c’è una situazione difficile mi tocca telefonare per rettificare quello che si dice alla Rai. Non è accettabile che la tv di Stato si occupi solo di attaccare il governo. Ma non è neanche accettabile che i nostri non avvertano il dovere di agire immediatamente».
Chi ha raccolto gli sfoghi del premier lo descrive come un fiume in piena: «Non dico che Giulio se ne doveva andare, ma almeno reagire con indignazione. Anche perché non so se si è accorto ma l’accusa più grave l’avevano rivolta a lui. Come fa un ministro delle Finanze a stare in un governo di uno che incentiva l’evasione fiscale?».Manovra, intercettazioni, non si contano i capitoli dello scontento berlusconiano. Proprio per evitare che tra Tremonti e Fini la maggioranza entri in un frullatore il premier ha dedicato l’intera giornata di ieri per mettere assieme i pezzi. Alla fine ha accolto la linea di Gianni Letta: tregua con Fini per arginare Tremonti.
Per questo il premier prima ha incontrato il titolare dell’Economia, poi ha riunito i vertici del Pdl. A Tremonti il Cavaliere ha elencato tutti i capitoli dello scontento: «Caro Giulio, qua si deve cambiare musica. Da quando è uscita la tassa concessa a Roma, ogni giorno c’è un Comune che vuole mettere una tassa». Sul punto non c’è stato verso di far cambiare idea al premier. Che ha proseguito: «Noi siamo quelli che dicono che non vogliono mettere le mani nelle tasche degli italiani. Quella tassa la facciamo sparire e lo annuncio io alla prima occasione utile». Non sarà l’unica modifica della manovra. Il testo non è affatto blindato. C’è voluta un’ora e mezza per spiegarlo a Tremonti: «A Bruxelles – ha detto il premier – interessa l’entità complessiva della manovra, qualcosa può cambiare». Fonti di palazzo Grazioli raccontano di un Tremonti contrariato. Tanto che premier e titolare dell’Economia non avrebbero pranzato assieme. Cosa piuttosto insolita considerato l’orario.
Del resto erano giorni che il Cavaliere voleva parlare in modo schietto. Lo ha fatto anche di fronte ai vertici del suo partito, riuniti nel pomeriggio: triumviri, capigruppo, ministro degli Esteri, tutti tranne i finiani: «Qua è passata l’idea che di una manovra in cui il Tesoro non solo indica le dimensioni ma prepara gli elenchi delle cose. E invece il governo non è commissariato, quindi noi dobbiamo affidare a ciascun ministro l’obiettivo e la responsabilità di scegliere cosa tagliare». Già, i tagli. Sono stati al centro di un lungo confronto dove è emerso un certo malcontento verso la monarchia tremontiana: «Ora – ha concluso il premier in versione parlamentarista – cercheremo un punto di equilibrio. L’impianto non cambia ma sono necessari accorgimenti. I tagli sono necessari ma va evitato il rischio che soffochino la crescita».
E se la manovra non è blindata, pure sul capitolo intercettazioni si tenterà la mediazione. Con Fini. Di fatto il premier si è ha collocato sulla linea di Letta. Che da settimane sta tentando una paziente, diplomatica opera di ricucitura col presidente della Camera. Certo, il Cavaliere non si fida: «È evidente – ha spiegato – che Fini ha fatto un accordo con l’Anm dando garanzie alle toghe. Per questo va tolta dal tavolo l’arma di ricatto».
Tuttavia il premier non vuole una guerra totale con l’ex capo di An, almeno per ora: «Il testo è migliorabile, e dobbiamo prendere in considerazione gli auspici di Napolitano. È giusto cercare punti di incontro. Questo non significa stravolgere il testo. E soprattutto entro l’estate va approvato».
Per trovare una soluzione condivisa nei prossimi giorni Alfano e Ghedini tenteranno un compromesso. Fissata l’asticella della mediazione: la norma transitoria si può ritirare mentre sul limite dei 75 giorni per la durata degli ascolti dal vertice è emersa l’intenzione di trovare un criterio selettivo a seconda dei reati. Ne parleranno già oggi Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno. Per la tregua c’è tempo fino a martedì, giorno in cui è stato fissato un ufficio di presidenza del Pdl. A quel punto se non c’è una soluzione condivisa si metteranno ai voti le proposte in campo. E addio tregua.
Copyright © Il Riformista. All rights reserved