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SIEMENS, MULTINAZIONALE DELLE MAZZETTE

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(WSI) – C’è un filone italiano ancora da chiarire nel più grande scandalo globale di corruzione mai emerso, quello della tedesca Siemens. Si tratta di circa 250 pagamenti «sospetti» per alcune decine di milioni di euro effettuati attraverso un intermediario da Siemens Communication e Siemens spa, la consociata italiana del gruppo tedesco. Ne parla un rapporto commissionato alla Kpmg nel 2006, finora inedito.

Pagamenti fatti «in Italia», nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006, successivi dunque alla vicenda Italtel-Siemens della quale si è occupata la procura di Bolzano. E diversi rispetto al caso delle mazzette Enelpower, scoppiato nel 2003 e per il quale la società ha patteggiato il pagamento di 6,2 milioni di euro. Che comunque sono solo una goccia nel mare delle mazzette pagate dalla multinazionale tedesca per vincere appalti, commesse e forniture ai quattro angoli del globo.

Per una volta l’espressione non è esagerata. L’inchiesta coinvolge direttamente almeno 20 paesi, dalla “A” di Argentina alla V di Vietnam, passando per Bangladesh, Cina, Dubai, Israele, Stati Uniti e l’Iraq di Saddam con Oil for food. L’ultimo capitolo lo ha scritto pochi giorni fa la procura di Washington, nelle cui carte c’è anche traccia del rapporto di Kpmg che riguarda le tlc e l’Italia. L’atto di citazione della Sec alla procura della capitale Usa contro la società tedesca è anche una formidabile ricognizione sul sistema di mazzette messo in piedi dalla multinazionale: centrali elettriche, gestione delle carte d’identità, sistemi di controllo del traffico, macchinari per la sanità, reti di tlc. Un totale di 4283 pagamenti illegali, per 14 categorie di transazioni e 332 progetti o vendite individuali. Almeno 1,4 miliardi di dollari i pagamenti «accertati» fatti a funzionari governativi dei vari paesi, compresi almeno due ex capi di Stato.

Alla Siemens pagavano tutti, con tutto, in tutti i modi. Solo per il filone americano, la società ha accettato due settimane fa di pagare 800 milioni di dollari, 20 volte la multa più elevata mai comminata ad una società straniera per aver violato le leggi Usa. Il sistema Siemens inizia a mostrare crepe nel 2003. Quell’anno emergono da un rapporto interno la corruzione di funzionari governativi in Nigeria per la fornitura di sistemi di comunicazione al paese africano e scoppia, in Italia, lo scandalo Enelpower.

In Nigeria, i solerti funzionari di Siemens avevano corrotto un po’ tutti, fino al presidente e al vicepresidente, ai quali verranno anche regalati orologi per oltre 170 mila euro. Briciole, rispetto alle consulenze pagate ad una società americana della moglie del vicepresidente per lavori mai svolti, almeno 2,8 milioni di euro. Per Enelpower, la vicenda è nota. Se n’è occupata a lungo la procura di Milano, che ha trovato i pagamenti fatti a Montecarlo a due ex manager del gruppo elettrico italiano per comprare turbine Siemens da montare nelle centrali progettate all’estero da Enelpower. Le crepe non bastano però per fermare il sistema. I manager coinvolti vengono prepensionati, e uno riceve anche 1,8 milioni di euro di benefit quando lascia la società. Per cambiare rotta è necessario arrivare al novembre 2006, al raid della polizia tedesca nella sede di Monaco di Baviera del gruppo, agli arresti dei manager, al cambio dei vertici del gruppo.

Solo allora partono dei sistemi di controllo interno efficaci e viene chiuso con il passato del «sistema Siemens». Quando però un sistema è implementato e a suo modo funziona per anni, dev’essere difficile da fermare così, da un giorno all’altro. Secondo la Sec, almeno 27,5 milioni sono stati pagati in mazzette, in vari paesi, dopo il novembre del 2006 e fino al 30 settembre 2007. I metodi erano diversi: dai pagamenti fatti tramite consociate estere fino ai metodi della vecchia scuola, le frontiere attraversate con le valigette cariche di contanti.

Il metodo preferito, pulito e «fatturabile», era però quello delle consulenze: 982,7 milioni dal 2001 al 2007 sono finiti nelle tasche di funzionari pubblici di vari paesi tramite consulenti e procacciatori d’affari, che per il disturbo incassavano a loro volta laute commissioni. Un nome che ricorre spesso è quello di Al Nowais, il «consulente» con base a Dubai coinvolto anche nello scandalo Enelpower.

Malgrado lo scandalo italiano, il suo nome ricompare più volte fino al 2006, quando nei suoi conti girano le mazzette pagate per una commessa da 2,5 milioni per un sistema per la tac destinato all’ospedale pubblico di Ekaterinburg, in Russia. «Era una rete, un universo parallelo, nascosto, tollerato o addirittura anche promosso dalla passata gestione», ha detto ieri Gerhard Cromme, attuale ad del gruppo. Finora, lo scandalo è costato alla Siemens almeno 2 miliardi. Finora.

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