Società

SIATE TRASGRESSIVI, TORNATE
ALLA TRADIZIONE

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(WSI) –
Da tempo mi vado convincendo di una cosa: la lotta politica del futuro sarà tra chi ha fatto il Sessantotto e chi lo ha subito. Ovvero tra i protagonisti del 68, i complici, i tifosi e i semplici continuatori di quell’onda lunga e corrosiva; e coloro che quell’onda la ebbero in faccia, quelli che il 68 lo patirono perché erano i suoi bersagli e le sue vittime.

Subirono il 68 coloro che stavano prima e coloro che vennero dopo il parricidio gioioso della Contestazione e si trovarono a vivere tra le sue rovine e le sue orfanità. Come me e in generale tutti coloro che non fecero in tempo a prendere il 68, per limiti d’età. Arrivammo a festa finita, e vivemmo tra i rottami e le carcasse che avevano lasciato per terra. Ma ne scontiamo ancora gli effetti.

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Sembra grottesco pensare alla politica ventura col torcicollo, guardando a quasi un quarantennio fa; ma quella fu l’ultima rivoluzione in Occidente, l’ultima febbre che attraversò le giovani generazioni; quei rivoluzionari e i loro continuatori sono oggi la classe dominante in politica, sul versante progressista e su mezzo versante moderato, in cultura e informazione, a scuola e all’università, nel sindacato e in magistratura, nel regno della ricreazione e della pubblicità.

Non ha torto Sarkozy a puntare contro il 68 e i suoi reduci e non ha torto la Royal a difendere il 68 come la sua ultima ragione sociale. Il loro ballottaggio si gioca sulla ruota del 68. Chi dice comunismo, resistenza, fascismo e antifascismo, parla di cose che non stanno più in piedi, nature morte da svariati anni. Chi dice, come Bertinotti che l’antifascismo è la nostra sola religione civile, ci fa capire perché il nostro Paese si è dato all’ateismo civile; se quel dio è appassito, vecchio e sepolto col suo nemico, non può suscitare una religione civile. Invece, hanno ragione i francesi a richiamarsi al 68, è l’unica eredità ancora in piedi somministrata dai suoi stessi fondatori e sacerdoti.

Siamo una Francia a scoppio ritardato
Da alcuni secoli l’Italia è una Francia a scoppio ritardato, La rivoluzione francese si trasferì a Napoli e in mezza Italia, Napoleone colpì bona parte della penisola e Murat ne fu l’imitazione nostrana; perfino il nostro tricolore viene dalla Francia col nobile blu che si è rinverdito; i piemontesi, il primo Re d’Italia e il primo premier, parlavano come prima lingua in francese. La nostra borghesia e la nostra cultura si nutrirono di mal francese per due secoli, era la lingua colta e il modello ideologico e di costume delle classi agiate e appena scolarizzate.

Addirittura il nazionalismo italiano e perfino l’ideologia più italiana da noi prodotta, il fascismo, hanno un marchio di fabbrica in larga parte francese, come dimostrò Zeev Sternhell. Così la nouvelle gauche e la nouvelle droite, e la conversione moderata se non reazionaria di molti intellettuali gauchiste. Infatti appena spuntò in Francia De Gaulle, in Italia si cercò subito l’equivalente in Fanfani, Pacciardi o perfino Gronchi. E si vide in Craxi il nostro Mitterrand, ovvero il De Gaulle venuto da sinistra. E più di recente, all’insorgere delle banlieue tutti si chiesero: e adesso che ci succede? Tutti davamo per scontato di aver visto in Francia l’anteprima di un film italiano.

L’ultima ondata di effervescenza giovanile che giunse da Parigi fu appunto il Maggio francese, che arrivò da noi in diretta differita, come si dice; anche se la tarma, come tutte le cose accadute nell’ultimo mezzo secolo, era nata nei campus americani. Dunque, l’appello di Sarkozy contro la malattia ereditaria del 68 è puntuale e colpisce in pieno anche il morbo italiano. In fondo, la sinistra radicale che si va compattando nel nostro Paese è figlia del sessantotto, e solo nello spirito del 68 può ritrovare il suo filo conduttore e il suo collante ideale tra verdi, femministe, excomunisti, trans, no global e anarchici insurrezionalisti.

Ma anche il partito democratico non ha trovato alla sua base nulla di meglio che l’ombra del partito radicale di massa, ovvero una forma di rivoluzione tardosessantottina, pannelliana, applicata ai diritti civili, alla famiglia, ai single; esattamente come fu il sessantotto che trasferì la rivoluzione dalla fabbrica alla casa, nella guerra tra padri e figli, tra libertà sessuale e rispetto, tra licenza e autorità, tra mutamento e fedeltà. Zapatero è l’ultima lettera dell’alfabeto sessantottino, il segno che lascia sulla pelle degli spagnoli, della famiglia e della religione, come la Zeta di Zorro, è un marchio di fabbrica sessantottina. Ed anche i veri promotori del Partito Democratico sono figli estremi del sessantottismo: parlo del veltronismo e della rutelleria, più una spruzzata di don Milani, surrogati per dare un’ideologia light, furba e piaciona, moralista e telegenica, ai democratici e alla loro anima morta o mortadella.

Intolleranza permissiva la strana bestia

Dall’altra parte, come accadde ai tempi del Maggio francese, i cosiddetti moderati viaggiano in pauroso ritardo; giudicano il mondo con le categorie arcaiche del comunismo e della democrazia cristiana, o con quelle idiote del tatticismo partitico. Non hanno capito che dopo Berlusconi la lotta politica non partirà da un principe ma da un principio, ovvero da un’idea che si è messa in moto. E quell’idea ruota intorno al 68 e alla necessità di rovesciarlo, come si rovescia un potere sedimentato e inacidito, che è poi un mix di fanatismo e nichilismo che produce una bestia strana, un centauro che si può definire solo con un ossimoro: intolleranza permissiva.

L’ideologia del sessantotto rinascente si può compendiare proprio in quella formula, intolleranza permissiva. Permissiva sul piano dei valori, dei doveri, dei costumi; intollerante verso chi non si riconosce in questa ondata di liberazione civicosessuale. Non ci avevo fatto caso, ma è l’esatto rovescio di quel che denunciava all’epoca il cattivo maestro del 68, Marcuse, quando accusava il sistema occidentale di tolleranza repressiva. I figliastri di Marcuse hanno partorito il suo rovescio l’intolleranza permissiva.

La prossima rivoluzione italiana ed europea, che sarà una rivoluzione conservatrice, non potrà che partire dalla critica di questa Ideologia dominante, dall’attacco politico e civile, sul piano del costume e del linguaggio, a questa Cappa che ci asfissia illudendoci di dare la massima libertà, e che ci rende schiavi e automi mentre finge di farci sovrani e autonomi. Rispetto a loro, la prossima trasgressione sarà la tradizione, sarà parlare di doveri prima che di diritti, di educazione prima che di liberazione. La prossima trasgressione sarà farsi un mito come loro si fanno un trans, e farsi una fede come loro si fanno le canne.

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