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SIAMO NELL’ ESPANSIONE PIU’ FORTE DELLA STORIA

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) –
Suggeriamo a chi sta considerando di alleggerire in misura consistente il suo portafoglio azionario di meditare sulle dichiarazioni di Simon Johnson, capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Il Fondo rivedrà ulteriormente al rialzo le stime di crescita globale per il 2007. Le stime precedenti, che risalgono ad aprile, davano la crescita al livello già altissimo del 4.9 per cento.

Suggeriamo a chi sta considerando di approfittare della correzione per aumentare massicciamente la sua esposizione azionaria, magari a leva, di consultare il rapporto annuale appena pubblicato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali. Basta leggere l’introduzione e le conclusioni, una ventina di pagine dense e tese (a tratti quasi autocoscienziali), per rendersi conto di quanto questa espansione travolgente, probabilmente la maggiore della storia, cominci a suscitare sgomento e perfino paura nei banchieri centrali.

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Nel concetto di travolgente c’è qualcosa di entusiasmante (se si travolge) e qualcosa di inquietante (se si viene travolti). I banchieri centrali da una parte e gli investitori dall’altra si trovano già da ora nella condizione di dovere scegliere quanto lasciarsi andare e quanto invece ricomporsi e riconquistare il controllo della situazione, quanto continuare a correre a folle velocità in una crescita (apparentemente) senza inflazione (e in un bull market senza fine) e quanto porsi dei limiti prima che sia troppo tardi.

Il dilemma è particolarmente acuto in Cina, dove la crescita è in continua accelerazione e sfiora ormai il 13 per cento. Il primo ministro Wen Jiabao la definisce “instabile, sbilanciata, scoordinata e insostenibile”. Le banche centrali, in cuor loro, hanno già deciso come schierarsi. Anche in assenza di inflazione conclamata è giunto il momento di accelerare la ripresa in mano della situazione. Prevenire è meglio che curare, dice la Bri, che raccomanda a tutti i paesi di alzare i tassi non appena possibile.

Il rialzo dei tassi viene accompagnato da misure di contenimento degli eccessi dei mercati. Le bolle vengono fermate una a una, cercando in tutti i modi di evitare danni inutili e contagi, ma agendo comunque con fermezza. Il caso dei subprime è indicativo. La Fed sta incoraggiando lo smontaggio delle posizioni. Non minimizza il problema con dichiarazioni rassicuranti. Tace. Al tempo stesso evita di soffiare sul fuoco per portare a casa una correzione azionaria esemplare. Lascia che i bond recuperino un poco di terreno, ma mantiene ferma la presa. Qualcuno si farà male, ma il danno immediato sarà circoscritto a due hedge fund e a una banca d’investimento. Il danno più largo, quello prodotto sugli spread di credito in generale, sarà graduale, voluto e controllato.

Nel marzo scorso i mercati pensarono per qualche giorno che la crisi dei subprime avrebbe fatto cadere il castello di carte degli asset backed, provocato una rapida caduta dei prezzi delle case e una contrazione dei consumi. Poi i mercati si ripresero e dimenticarono completamente il problema. In realtà la questione si trascinerà per almeno un paio d’anni e produrrà periodicamente ondate di paura, ma è ragionevole pensare che non comprometterà la crescita americana e globale.

Il fatto che le banche centrali intendano comportarsi responsabilmente e mettere qualche freno alla crescita è strategicamente positivo per l’espansione, che può così durare più a lungo, e per i mercati azionari. La crescita delle borse avrà da essere molto più lenta e più irregolare, ma sarà in compenso più solida. La sorveglianza sui mercati sarà serrata e i motivi per periodiche correzioni non mancheranno (petrolio, immobiliare, tassi, utili, moral suasion). La volatilità, in via di rapida normalizzazione dopo anni in cui è stata particolarmente bassa, contribuirà a combattere la voglia di mantenere esposizioni al rischio troppo elevate.

Per i mercati azionari la direzione di fondo rimane sicuramente al rialzo. La crescita estremamente sostenuta dell’economia globale è destinata ad assorbire il moderato rialzo dei tassi che si prospetta nei prossimi mesi e può anche compensare un’eventuale erosione dei margini, purché limitata. Il contesto generale, d’altra parte, si farà nei prossimi trimestri via via più instabile e questo porta a suggerire un uso progressivamente decrescente della leva e un ridimensionamento ordinato, lento e progressivo dell’esposizione al rischio.

Un esito positivo delle politiche restrittive non è assolutamente da escludere. Se ben dosate, possono produrre un rallentamento dell’espansione modesto e sufficiente comunque a fare recedere rapidamente le pressioni inflazionistiche che stanno salendo. In un contesto globale per molti aspetti nuovo e inesplorato tutto può succedere. Il passaggio dal paradiso degli anni Sessanta (pieno impiego, assenza d’inflazione, bull market azionario) all’inferno degli anni Settanta (inflazione, stagnazione, collasso degli asset finanziari) fu velocissimo e non fu percepito in tempo reale, bensì quando era ormai troppo tardi. Quello fu però uno degli esiti possibili, non l’unico possibile.

L’analogia con gli anni Sessanta è che quando si viaggia alla massima velocità e in pieno impiego basta un piccolo sassolino per andare fuori strada. La differenza è che questa volta l’incidente potrebbe essere semplicemente una sbandata che produce molta paura ma non conseguenze gravi e durature. Nel 1970 non c’erano centinaia di milioni di sottoccupati in Asia. Oggi ci sono. Questo significa che potrebbe essere sufficiente un rallentamento di un paio di trimestri tra 2008 e 2009 (accompagnato da un bear market azionario molto dolce) per decongestionare l’inflazione salariale cinese già manifesta e quella che è probabilmente in preparazione in America e in Europa.

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