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SHILLER: «MA I CITTADINI NON SONO SUDDITI»

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(WSI) – Da sempre, uno dei sintomi di una crisi è la folla di coloro che sostengono di averla prevista. Ma Bob Shiller è diverso, e non solo perché da vivo dà il nome a una moderna istituzione americana: l’indice Case-Shiller sui prezzi delle case, da lui stesso messo a punto. No: Shiller, docente a Yale, fa categoria a sé perché aveva (davvero) messo in guardia per tempo sugli scoppi delle bolle di Internet e degli immobili. Lui le chiama «epidemie sociali», attacchi della peste del ventunesimo secolo scatenati da un «residuo feudale».

Crede che il G7 di Washington rassicurerà le Borse?
«Il vertice ha elencato ciò che i vari Paesi pensano di fare o fanno. Non è stata certo una risposta creativa, spumeggiante. I punti del G7 suonano come una lista di prime cose ragionevoli da fare ma non c’è una proposta di lungo periodo, sistemica. Non mi stupisce. E immagino che non possa avere molto impatto sui mercati, perché è tutto così prevedibile ».

Dunque lei è pessimista su come reagiranno i mercati?
«I mercati immobiliari non credo proprio che reagiscano. Quanto alle Borse, cosa faranno è un mistero e sinceramente sono preoccupato. Il G7 di questo week-end è un segnale che i governi stanno facendo qualcosa per riportare la fiducia, ma credo anche che sia un fattore secondario».

Lei propone di democratizzare la finanza. Che significa?
«Si tratta di mettere gli strumenti finanziari a disposizione della gente comune. Cent’anni fa solo i più ricchi avevano accesso a forme di gestione del loro rischio finanziario. Ora invece abbiamo forme di partecipazione ai mercati per buona parte della popolazione. Ma non c’è ancora un illuminismo finanziario diffuso, e questa crisi ne è l’esempio: è una crisi immobiliare, deriva dalla cattiva diversificazione degli investimenti e dell’indebitamento della gente comune».

Le banche hanno sfruttato l’ignoranza delle famiglie?
«La gente è consigliata a indebitarsi in un portafoglio di investimenti non diversificato. È stupefacente che simili fenomeni sopravvivano nel 21esimo secolo».

Vuole dire che le banche trattano i cittadini da sudditi?
«Curioso: parlare di sudditi, richiama un’eredità feudale da cui stiamo gradualmente liberandoci. Abbiamo ancora un bel po’ di strada da fare in questo senso».

Ma ormai Wall Street è così odiata che i governi esitano a agire per salvare il sistema finanziario.
«E ciò è preoccupante. Ricordiamoci sempre che la finanza è il plasma vitale dell’economia moderna, dobbiamo cercare di far sì che continui a progredire. Il mio timore è che questa crisi spinga la popolazione ad accusare le istituzioni finanziarie, invece di concentrarsi sugli errori commessi nella gestione del rischio».

Teme la caccia all’untore, come nelle epidemie medievali?
«Mi fa pensare alla crisi nel ’98 del maxi- fondo speculativo Ltcm: allora tutti incolparono i due premi Nobel che vi furono coinvolti, Robert Merton e Myron Scholes. Ma Ltcm fallì perché non aveva una buona gestione del rischio, non perché le loro teorie erano sbagliate».

Sarebbe opportuno che lo Stato comprasse le case o i mutui insolventi in America?
«Parte del piano di salvataggio deve andare alle famiglie. Non sembra giusto che vada tutto alle banche e la gente comune debba dipendere dai benefici che filtrano giù giù dall’alto. In America diecimila famiglie vengono buttate fuori dalle loro case ogni giorno. Ciò sta creando un risentimento tremendo, radicato, che porta sfiducia fra gli individui, nei confronti del governo e verso le istituzioni. Dobbiamo fare qualcosa».

Comprare case aiuterebbe anche l’economia?
«Come misura tampone, sì. Ma anziché provare misure improvvisate, dovremmo farlo in modo strutturale».

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