Le tensioni internazionali, il riaccendersi del terrorismo e i dati macroeconomici deludenti sono i principali fattori che hanno cospirato contro i listini azionari. Lo scetticismo degli investitori si e’ riflesso nei bassi volumi di contrattazioni. Questa settimana al New York Stock Exchange in media si sono scambiate circa 1,24 miliardi di azioni, quasi il 5% in meno rispetto alla media giornaliera degli ultimi tre mesi.
A scuotere i mercati si sono combinati numerosi elementi. Sul versante geopolitico, il presidente George Bush ha definitivamente chiarito che e’ arrivato il tempo per decidere sulla questione irachena.
Davanti a una platea di giornalisti, Bush ha affermato che gli Stati Uniti non hanno bisogno dell’appoggio delle Nazioni Unite per disarmare Saddam Hussein.
I dati sconfortanti sull’occupazione e sull’attivita’ manifatturiera hanno poi confermato il quadro grigio dell’economia Usa emerso dal Beige Book, la relazione bimestrale della Federal Reserve sulla congiuntura americana.
Nonostante il panorama generale sia poco incoraggiante, il global strategist di Morgan Stanley Barton Biggs e’ ancora ottimista sulle prospettive dei mercati, una volta che le tensioni con l’Iraq saranno superate. “Gli indici azionari continuino a tenere”, osserva Biggs. “Basteranno poche buone notizie per dar luogo ad un rally consistente”.
Di parere diverso e’ invece il finanziere George Soros. “La conclusione di una guerra avrebbe l’effetto di rialzare gli indici solo temporaneamente – commenta il guru -. Altri problemi, sia politici che economici, interverrebbero a deprimere i mercati”.
Con un calo del 2,41% (-32,23 punti) il Nasdaq questa settimana ha registrato la perdita piu’ consistente, portandosi a quota 1.305,29. Dall’inizio anno l’indice tecnologico cede 30,22 punti (-2,26%) e rispetto a un anno fa segna un ribasso di 624,38 punti (-32,36%).
Il Dow Jones e’ invece arretrato di 151,05 punti (-1,91%), portandosi a quota 7.740,03. Dall’inizio anno l’indice industriale accusa un calo di 601,6 punti (-7,21%) e rispetto a un anno fa segna un ribasso di 2832,46 punti (-26,79%).
L’S&P 500 ha lasciato sul terreno 12,26 punti (-1,46%) chiudendo a quota 828,89. Dalla chiusura del 31 dicembre 2002 l’indice registra un calo di 50,93 punti (-5,79%), mentre su base annua la perdita e’ di 335,42 punti (-28,81%).
Performance settimanale dei listini americani |
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Indici | Valori al 7/3/2003 | Variazioni ultima settimana |
Variazioni da inizio anno | Variazioni ultimi 12 mesi |
DJIA | 7740,03 | -151,05 (-1,91%) |
-601,6 (-7,21%) | -2.832,46 (-26,79%) |
S&P500 | 828,89 | -12,26 (-1,46%) |
-50,93 (-5,79%) | -335,42 (-28,81%) |
Nasdaq | 1.305,29 | -32,23 (-2,41%) | -30,22 (-2,26%) | -624,38 (-32,36%) |
Fonte dati: Ufficio Studi WallStreetItalia |
IL MERCATO AZIONARIO:
Anche questa settimana i semiconduttori sono stati tra i titoli piu’ bersagliati dal mercato. Ha pesato, in particolare, la debolezza delle vendite di memorie flash di Intel (INTC – Nasdaq, -7%) e le previsioni sconfortanti di Standard & Poor’s sulla ripresa del comparto. Il SOX ha ceduto quasi il 4%.
Perdite piu’ contenute per il settore software (GSO, -2%). Oracle (ORCL – Nasdaq, -7,5%), tuttavia, ha risentito delle previsioni sconfortanti di Lehman Brothers sui risultati trimestrali, che saranno comunicati il 18 marzo. In rosso anche Microsoft (MSFT – Nasdaq), che ha perso lo 0,6%.
Ma a registrare le vendite piu’ forti e’ stato il comparto automobilistico (DJ_ATO, -8%). La debolezza del fatturato del settore ha scatenato i downgrade delle banche d’affari. Tra le societa’ piu’ colpite, General Motors (GM – Nyse, -7,8%) e Ford (F – Nyse, -13,2%). Su quest’ultima hanno pesato anche i giudizi di alcuni operatori che la vedono prossima alla bancarotta.
Complici le vendite deludenti di febbraio, e’ arretrato anche il settore retail. Continua a pesare sulle societa’ dell’industria l’ondata di maltempo che ha investito la costa orientale Usa nel weekend del President’s Day (uno dei periodi chiave per le vendite al dettaglio). Target (TGT – Nyse, -6,6%) e Best Buy (TGT – Nyse, -3,3%) sono i titoli che hanno accusato le maggiori perdite, mentre ha chiuso in pareggio Wal-Mart (WMT – Nyse). L’indice (RLX) ha lasciato sul campo l’1,14%.
Per quanto riguarda il comparto della difesa, da segnalare le perdite di Boeing (BA – Nyse, -6,4%), il cui progetto di fusione con la britannica Bae System non ha incontrato i favori del mercato. Ha messo sotto pressione il settore anche la revisione al ribasso delle stime sugli utili di Northrop (NOC – Nyse, -4,58%). L’indice di riferimento DFX e’ sceso del 3,1%.
Una revisione al ribasso e’ stata effettuata anche dalla casa farmaceutica Schering Plough (SGP – Nyse), il cui titolo ha perso quasi il 10%. Sono invece avanzate dello 0,5% Pfizer (PFE – Nyse) e Pharmacia (PHA – Nyse), grazie anche a un’importante vittoria legale su alcuni diritti di brevetto. L’indice DRG ha comunque archiviato la settimana in sostanziale pareggio (+0,4%).
Tra i titoli media, da segnalare la brutta performance di Walt Disney (DIS – Nyse, -8%), colpita dalle critiche di alcune banche d’affari. In positivo invece AOL Time Warner (AOL – Nyse, +0,7%), il cui piano di ristrutturazione e’ stato apprezzato dagli investitori.
Completano il quadro societario, i profit warning di Caterpillar (CAT – Nyse, -2,5%) e Pepsi-Bottling (PBG – Nyse, -18,7%), l’acquisizione di Eastman Chemical da parte di DuPont (DD – Nyse, -1,83%) e l’upgrade di J.P. Morgan su Nokia (NOK – Nyse, -2,2%).
I DATI MACROECONOMICI:
- Reddito e consumo personale. A gennaio, il reddito personale negli Stati Uniti e’ aumentato dello 0,3% mentre le spese personali sono scese dello 0,1%. Entrambe i dati hanno deluso le stime di mercato.
- ISM Manifatturiero. A febbraio l’indice e’ sceso a 50,5 punti dai 53,9 di gennaio. Pur avendo deluso le attese degli analisti l’Ism rimane sopra la soglia dei 50 punti, che separa un settore in espansione da uno in contrazione.
- Spesa per le costruzioni. A gennaio e’ aumentata dell’1,7%, a $877,9 miliardi. Si tratta del maggiore rialzo registrato in un anno.
- ISM servizi. A febbraio l’indicatore si e’ attestato a 53,9 punti, contro i 54,5 di gennaio. Il dato e’ in linea con le attese.
- Sussidi di disoccupazione. Le nuove richieste la scorsa settimana sono aumentate di 12.000 unita’, a quota 430.000. Si tratta del terzo incremento consecutivo del dato, che ha toccato il livello piu’ alto dal 14 dicembre 2002.
- Produttivita’. Nel quarto trimestre 2002 e’ cresciuta dello 0,8%. Il dato e’ stato rivisto al rialzo dalla rivelazione preliminare (-0,2%).
- Ordini alle fabbriche. A gennaio si sono attestati a $327,11 miliardi (+2,1%). Si tratta dell’incremento piu’ consistente dallo scorso luglio.
- Occupazione. A febbraio il tasso di disoccupazione e’ salito al 5,8%, dal 5,7% di gennaio. Sono stati persi ben 308.000 posti di lavoro, il calo piu’ significativo dal novembre 2001.
IL MERCATO OBBLIGAZIONARIO:
Il persistere delle incertezze geopolitiche e alcuni dati macroeconomici scoraggianti hanno contribuito ad alimentare la domanda per i titoli di Stato. Alla chiusura di venerdi’, il rendimento sui bond a 5 anni e’ sceso al 2,54% dal 2,66% della settimana scorsa.
Dopo aver toccato i livelli piu’ bassi degli ultimi cinque mesi, lo yield sul Treasury a 10 anni, benchmark della categoria, si e’ attestato al 3,64%, contro il 3,62% di venerdi’ scorso. Ricordiamo che il rendimento segue un andamento inverso rispetto ai prezzi.
“Con una guerra alle porte, i bond continueranno ad essere un importante punto di riferimento per gli investitori”, ha osservato Mike Ryan, senior fixed-income analyst di UBS PaineWebber.
Il trend del reddito fisso, tuttavia, solleva non poche perplessita’ tra gli operatori. Molti analisti tecnici, infatti, mettono in luce come la situazione di ipercomprato potrebbe presto portare ad un ridimensionamento del comparto.
- Tasso a 13 settimane (IRX – CBOE)
- Tasso a 5 anni (FVX – CBOE)
- Tasso a 10 anni (TNX – CBOE)
- Tasso a 30 anni (TYX – CBOE)
Per quanto riguarda il fronte corporate, il dipartimento del Tesoro ha comunicato che nel 2002 gli investimenti esteri in obbligazioni USA hanno registrato un calo del 18%. Principali responsabili del risultato negativo gli scandali societari e la debolezza dell’economia a stelle e strisce.
IL MERCATO VALUTARIO
Il cambio euro/dollaro questa settimana e’ uscito dal trading range nel quale si era tenuto ininterrottamente dall’inizio di febbraio, ed e’ arrivato a toccare quota $1,1067, il livello piu’ alto dal marzo del 1999.
Il timore che gli Stati Uniti possano attaccare l’Iraq anche senza l’appoggio delle Nazioni Unite e’ stato l’elemento che maggiormente ha contribuito a mettere alle corde la moneta americana.
Solo la diffusione di alcune notizie sull’avvicinarsi della cattura di Osama bin Laden ha ridato fiato al biglietto verde, che e’ riuscito a recuperare solo una parte delle perdite accumulate. Nel tardo pomeriggio di venerdi’ a New York la valuta Usa viene scambiata a $1,1001 contro l’euro. La settimana scorsa ne occorrevano $1,077.
Non ha invece giovato il fatto che John Snow, il segretario del Tesoro Usa, si sia detto “non particolarmente preoccupato” della debolezza del dollaro. Un suo successivo intervento di rettifica non e’ riuscito a cancellare l’impressione che la Casa Bianca stia abbandonando la politica di una valuta forte.
Ha avuto effetti controversi, infine, la decisione della Banca Centrale Europea di portare al 2,50% il costo del denaro. Data la debolezza dell’economia del Vecchio Continente, molti operatori si attendevano un taglio piu’ incisivo di quello effettuato (0,25%).
LE CONCLUSIONI
Sui mercati finanziari gravano troppi elementi negativi perche’ gli indici possano imboccare un trend rialzista duraturo. La debolezza del settore occupazionale suona come un campanello d’allarme sulla tenuta dei consumi.
La minaccia della guerra, poi, distoglie le imprese dall’assumere personale ed effettuare nuovi investimenti. L’aumento dei costi energetici, la sovra-capacita’ produttiva e la concorrenza globale concorrono poi a deprimere i gia’ deboli margini di bilancio delle aziende.
Oltre alla questione irachena, insomma, i problemi dei mercati finanziari Usa sono legati ai fondamentali societari e dell’economia. Considerando che gli altri Paesi piu’ industrializzati non versano in situazioni migliori, i tempi per una ripresa consistente non sembrano ravvicinati.