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(WSI) – Gli ingredienti sono quelli classici di un romanzo sull’alta finanza: tangenti, società estere di copertura, sesso, alti dirigenti, politici, sindacalisti, una modella brasiliana e prostitute di alto bordo. L’intreccio non è però il frutto dell’immaginazione di uno scrittore. Emerge giorno dopo giorno dalle indagini della magistratura tedesca sul conto di Helmuth Schuster, uomo di stretta fiducia di Peter Hartz, il direttore del personale della Volkswagen chiamato dal cancelliere Gerhard Schröder in persona a riformare il mercato del lavoro in Germania.
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Quello che viene a galla è il maggiore scandalo nella storia della Repubblica federale. È il 15 giugno quando Schuster si dimette dalla carica di direttore del personale della Skoda, ufficialmente di propria iniziativa. Tre giorni dopo i vertici della Volkswagen presentano al Tribunale di Braunschweig una denuncia nei confronti del loro ex dirigente, accusato di aver chiesto delle tangenti ai fornitori per favorirli nell’assegnazione delle commesse. L’episodio rimane sotto traccia fino a quando, giovedì 30, Klaus Volkert, potente sindacalista della IG Metall e artefice dei principali accordi aziendali siglati negli ultimi quindici anni a Wolfsburg, rassegna a sorpresa le proprie dimissioni dalla presidenza del consiglio generale di fabbrica del Gruppo. Per il sindacato si tratta di un normale turnover dovuto all’età avanzata di Volkert, che ha 62 anni. La stampa tedesca solleva però il sospetto che le dimissioni siano legate all’affare Schuster. Secondo alcune indiscrezioni filtrate dall’interno del Gruppo, i due sarebbero azionisti di una società, la F-Bel, in rapporti commerciali con la casa automobilistica a Praga.
Ma la mazzata su Volkert arriva con l’accusa pesante di avere messo a carico della Volkswagen le spese per l’amante brasiliana (viaggi in prima classe, hotel e persino un versamento trimestrale di 20.000 euro quale compenso per una non meglio precisata collaborazione pubblicitaria).
Non è l’unico colpo di scena della vicenda: le indagini della magistratura avrebbero accertato l’esistenza di una e vera e propria rete di società di copertura in India, Angola, Repubblica Ceca e Lussemburgo, controllate da una holding, la Impesa S.A., con sede a Neuchatel (Svizzera), e costituite da Schuster e da Hans-Joachim Gebauer, altro dipendente dell’ufficio del personale, allo scopo di assicurarsi i ricchi contratti Volkswagen.
Il consiglio di fabbrica – è quanto riferisce la Süddeutsche Zeitung – sarebbe stato messo a tacere con il pagamento ai sindacalisti di viaggi di piacere e persino incontri a luci rosse. Un esborso complessivo di 30.000 euro messo ancora una volta in conto alla casa automobilistica, con l’approvazione di Peter Hartz.
Possibile che il direttore del personale fosse a conoscenza degli affari sporchi che si consumavano all’ombra di Wolfsburg? Le ultime indiscrezioni sul caso dicono che Hartz avrebbe messo a disposizione del consiglio di fabbrica un assegno in bianco per i viaggi di lavoro. Senza controllare l’effettivo utilizzo del denaro. Uno sprovveduto? Liberali e cristiano-democratici ne chiedono la testa. Del resto il suo ruolo politico, così come la sua amicizia personale con Schröder, sono evidenti. Attaccarlo significa colpire la coalizione rosso-verde nel pieno della campagna elettorale e affossare quel modello di cogestione aziendale che a Wolfsburg vede un legame strettissimo tra impresa, governo regionale (il maggior azionista della società) e sindacati. E alla fine – comunque andrà a finire questa storia – saranno proprio questi ultimi a pagare il prezzo più alto.
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