Società

Servizio Pubblico, pace fatta tra Santoro e Travaglio

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ROMA (WSI) –

Sarebbe “Pace fatta fra Santoro e Travaglio”. Lo dice Fabio Franceschi, azionista de Il Fatto Quotidiano e amico di entrambi a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24. “Diciamo che c’è stato un piccolo battibecco, sono due caratteri un po’ spigolosi, purtroppo quella serata era una serata un po’ difficile. Stimo Marco, perché penso che sia uno dei più grandi giornalisti. E con Santoro non si può discutere, lo sappiamo tutti quanto è difficile”.

Travaglio, qualche ora dopo aveva scritto un editoriale in cui spiegava di non essere una foca ammaestrata. Il giorno dopo, però, il condirettore del Fatto aveva scritto un altro editoriale per chiedere a Santoro se “c’è ancora giornalismo nei talk”. “Prima di domandarsi se il collaboratore fa la pace col conduttore e torna a bordo – scriveva Travaglio sul quotidiano rispondendo a Michele Santoro che, dopo la lite, lo aveva invitato a tornare in studio a patto che rispettasse le regole – andrebbe sciolto un rebus: cosa rimane, del giornalismo come lo conosciamo tutti, nei talk show?. Chi insinua dissensi politici fra il conduttore renziano e il collaboratore grillino, risentimenti per l’ora tarda, nervosismi da share, gelosie da primedonne, mente per la gola – scrive il condirettore del Il Fatto -. Qui la questione è un po’ più seria. Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per ‘contraddittorio’ e ‘ascolto’ dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità solo perché se ne sta comodo a cuccia, certo dell’impunità politica che gli consente di sgovernare da 30 anni, in una notte dove tutte le vacche sono nere?. Davvero parlare di queste porcate chiamandole col loro nome e chiedendone conto a chi le ha fatte è davvero violazione del bon ton e rifiuto del contraddittorio? – si leggeva nell’editoriale -. Se i colpevoli sono tutti al potere è anche perché troppa gente si lascia abbindolare dai diversivi retorici tipo ‘angeli del fango’ che, intendiamoci, fanno benissimo e vanno ringraziati, purché però non si prestino a distrarre l’attenzione dai portatori del fango”. “Attendo che qualcuno mi dica un solo fatto non vero tra quelli che ho ricordato giovedì – scrive ancora il giornalista -. Ma temo che anche stavolta, come sempre dal Satyricon di Luttazzi nel 2001, la domanda resterà inevasa. Molto più facile dipingere i fatti come ‘insulti’ e le critiche come ‘rissa’, anche se me ne sono andato proprio per evitare di trascendere davvero negl’insulti e nella rissa. Restare calmi e zitti in quella bolgia di bugie e ipocrisie è un’impresa che può riuscire ai figuranti da talk show, marionette senza sangue che s’incazzano e si placano a comando”.

Secondo l’editore de La 7, Urbano Cairo, “Santoro ha fatto bene a riaffermare il principio che Servizio Pubblico offra a tutti la possibilità di dire quello che pensano e anche di replicare. La rissa in tv – spiega Cairo a Repubblica – non porta ascolti. In tv lo share cresce nel momento in cui ci sono le idee. Ho parlato solo con Santoro, Travaglio non lo sento mai. Io ho fatto un accordo con Michele: lui è libero di fare il talk con chi vuole, ha scelto Travaglio, che ha dato ottimi contributi. Non butto nessuno dalla torre – aggiunge. – Travaglio è molto bravo a fare le domande. Ma è giusto che anche a lui possano fargliene”. Sul fatto che la coppia starebbe scoppiando a causa di Beppe Grillo, Cairo replica: “A me non risulta. Una così rodata coppia televisiva non credo scoppierà per un diverso modo di vedere la politica grillina. Comunque io non intervengo sulla linea politica”
(Ansa)

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di Marco Travaglio

ROMA (WSI) – Ma è così strano indignarsi davanti allo scempio di una città e di una Regione malgovernate da decenni che quasi ogni anno contano i morti e all’ipocrisia dei responsabili che cementificano tutto e poi pontificano in tv col culetto al caldo nei loro salotti? Davvero parlare di queste porcate chiamandole col loro nome e chiedendone conto a chi le ha fatte è violazione del bon ton e rifiuto del contraddittorio? Davvero è bestemmiare gli angeli invitare uno spalatore diciassettenne a guardare il faccione sformato di chi l’ha costretto e sempre lo costringerà a spalare, e a pretenderne spiegazioni anziché farsene ipnotizzare?

Non sarà che il problema è opposto a quello agitato dalle suorine delle buone maniere e della linesotis delle presunte regole, e cioè che nessuno ha mai detto in faccia a questi sepolcri imbiancati (di calce) quel che si meritavano, aiutandoli a rimpinzarsi di voti e di soldi a suon di grattacieli, palazzi-alveare, parcheggi, ipermercati, porti turistici, dando fra l’altro un sacco di lavoro ai giudici e ai secondini?

Se i colpevoli sono tutti al potere, convertiti in tarda età al renzismo per rottamare non si sa chi, è anche perché troppa gente si lascia abbindolare dai diversivi retorici tipo “angeli del fango” che, intendiamoci, fanno benissimo e vanno ringraziati, purché però non si prestino a distrarre l’attenzione dai portatori del fango.

Quanto a me, attendo che qualcuno mi dica un solo fatto non vero tra quelli che ho ricordato giovedì. Ma temo che anche stavolta, come sempre dal Satyricon di Luttazzi nel 2001, la domanda resterà inevasa.

Molto più facile dipingere i fatti come “insulti” e le critiche come “rissa”, anche se me ne sono andato proprio per evitare di trascendere davvero negl’insulti e nella rissa. Restare calmi e zitti in quella bolgia di bugie e ipocrisie è un’impresa che può riuscire ai figuranti da talk show, marionette senza sangue che s’incazzano e si placano a comando, poi vanno a farsi due spaghi insieme. Io, quando sento certe balle e vedo certe facce, mi indigno per davvero, specie se ci sono morti che chiedono giustizia.

Chi insinua dissensi politici fra il conduttore renziano e il collaboratore grillino, risentimenti per l’ora tarda, nervosismi da share, gelosie da primedonne, mente per la gola. Qui la questione è un po’ più seria. Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per “contraddittorio” e “ascolto” dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità solo perché se ne sta comodo a cuccia, certo dell’impunità politica che gli consente di sgovernare da 30 anni, in una notte dove tutte le vacche sono nere? Prima di domandarsi se il collaboratore fa la pace col conduttore e torna a bordo, andrebbe sciolto un rebus: cosa rimane, del giornalismo come lo conosciamo tutti, nei talk show?

Resterebbe da parlare del solito Merlo che, in perfetta simbiosi col mèchato di Libero, mi accusa su Repubblica di essermi “illividito da maramaldo in cattiverie biografiche contro Burlando”, anzi “il povero Burlando”, dopo una vita di “tv dell’insulto” (ma quali? me ne dica uno) “senza contraddittorio, senza risposte né domande, chiuso e protetto nel recinto del monologo sprezzante”. Questo presunto giornalista di cui sfuggono le notizie e soprattutto i lettori (quando Repubblica testava con sondaggi le sue firme più lette, Merlo guadagnava sempre l’ultima posizione), questo finto frondeur che si crede Sciascia e Brancati solo perché è nato in Sicilia orientale e passa il tempo a intrecciare merletti barocchi senza mai prendere posizione, se non per bastonare chi si oppone al sistema, non ha mai visto una puntata di Annozero e Servizio Pubblico. Sennò saprebbe che in 8 anni ho risposto a migliaia di domande e affrontato centinaia di contraddittorii, senza che nessuno riuscisse a smentire una sola mia parola. Piuttosto, quando mai il Merlettaio s’è sottoposto al contraddittorio? Perché non chiede al direttore di Repubblica di affiancare ai suoi articoli una replica del primo che passa? Forse perché già conosce la replica: “Ma chi è questo Merlo?”.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Fatto Quotidiano – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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