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Serbia: Intesa e San Paolo co-leader del mercato

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Grazie alla fusione tra Banca Intesa e San Paolo, il gruppo italiano nel 2006 diventerà co-leader del mercato in Serbia con una quota del del 14 per cento. Lo dichiara Zoran Jevtovic, manager della divisione banche estere del gruppo Intesa, partecipando oggi a Roma al seminario “Italia-Serbia: the road to investment” organizzato dall’Unido-Itpo Italy. In seguito all’operazione Banca Intesa-San Paolo, “anche in Serbia avverrà la fusione tra le due banche locali, Banca Intesa Beograd e Panonska Banka – spiega Jevtovic – portando la quota di mercato al 14 per cento” dall’attuale 10,6 per cento. Inoltre, beneficiando del fatto che Panonska copre aree diverse, Banca Intesa, che in Serbia è arrivata circa un anno fa e da allora è già registrato una crescita degli impieghi dell’80 per cento “il numero delle filiali passerà da 155 filiali a 215 nel 2007”.
La strategia della banca milanese in Serbia è di “spingere sulla crescita del credito al consumo, mantenendo la leadership nel corporate”, dice Jevtovic, sottolineando il ruolo di pioniere del Gruppo, il cui concorrente italiano in Serbia è Unicredit, attraverso Hvb, quinto istituto del Paese.
Per il resto il settore bancario serbo gode di “crescente fiducia” e conta al momento “diciotto banche straniere – aggiunge – che detengono il 71 per cento della quota di mercato”.
La Serbia “è un Paese in forte crescita – spiega Jevtovic – con un aumento del Pil stimato al 7 per cento nel 2006, e che ha fretta di tornare nella famiglia europea. A causa di quindici anni di travaglio lo sviluppo economico è rimasto al livello dei tardi anni Ottanta, ma ora è in atto un riammodernamento industriale e c’è molto spazio per gli investimenti stranieri”.
Inoltre, la politica serba è di creare un ambiente favorevole con sovvenzioni e incentivi. In questo contesto, però, “l’Italia è presente solo con un paio di grandi aziende finanziarie-assicurative e poche Pmi. L’Italia è in ritardo – conclude – nonostante siamo visti come i più vicini, tanto che la nostra lingua è studiata quasi quanto l’inglese”.