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Sempre più ricchi, ma insoddisfatti dei wealth manager

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La ricchezza della clientela private continua a crescere anche in Italia ma il livello di soddisfazione verso il proprio wealth manager è ancora basso. Gli Hnwi si avvicinano alle criptovalute e ai servizi tech più evoluti

La forza del ciclo economico internazionale e le performance elevate fatte registrare dai principali mercati azionari hanno permesso alla popolazione dei superricchi, i cosiddetti High net worth individual (Hnwi) di continuare ad aumentare.
Come è facile immaginare i risultati più evidenti di questo fenomeno si sono registrati nelle aree di maggiore crescita economica come l’Asia-Pacifico e il Nord America, dove si contano il 74,9% (1,2 milioni) di nuovi Hnwi a livello mondiale. A certificarlo ci ha pensato il World Wealth Report, ricerca condotta dalla società di consulenza Capgemini analizzando i dati dello scorso anno.
Il nostro Paese non fa eccezione. Tra il 2016 e il 2017, il numero di Hnwi è cresciuto di circa il 9%, da 251.500 a 274.000 individui e l’Italia è stabile alla decima posizione della top 10 dei Paesi mondiali per numero di paperoni, preceduta da Usa, Giappone, Germania, Cina, Francia, Regno Unito, Svizzera, Canada e Australia (in ordine dal primo al nono posto). Complessivamente la ricchezza degli Hnwi è aumentata del 10,6% superando i 70 mila miliardi di dollari: il 2017 si classifica al secondo posto tra gli anni con il più ampio tasso di crescita dal 2011.
Questi numeri di tutto rispetto nascondono la presenza di un certo livello di insoddisfazione nel livello di servizio offerto dai wealth manager, un osservazione che ben emerge dallo studio di Capgemini.
Tra le principali tendenze emerse si registra anche un crescente interesse a investire in criptovalute e per i servizi di gestione patrimoniale offerti dalle
società BigTech.

Performance record dagli investimenti

Secondo il report di Capgemini, nel 2017 i rendimenti degli investimenti globali degli Hnwi (sugli asset gestiti da wealth manager) hanno registrato in media un rendimento del 27,4%. La fascia di clientela più giovane (sotto i 40 anni) ha conseguito rendimenti degli investimenti molto più elevati rispetto ai pari più anziani (37,9% rispetto al 16,9%), forse a causa del bisogno di dedicarsi alla creazione di ricchezza in questa prima fase della loro vita, rispetto alla maggiore attenzione verso la conservazione del proprio patrimonio mostrata dagli Hnwi con età pari o superiore ai 60 anni.
Le azioni sono rimaste l’asset class preferita nel primo trimestre del 2018, rappresentando il 30,9% del patrimonio finanziario di questa fascia di investitori, seguite dalla liquidità al 27,2% e dalle proprietà immobiliari cresciute al 16,8% (in aumento del 2,8%).

La performance non basta

Come sottolineato da Capgemini, le buone performance registrate dagli investimenti di questa fascia di risparmiatori negli ultimi due anni, non si sono riflesse in un incremento del loro grado di soddisfazione nei confronti dei servizi forniti dai wealth manager, suggerendo che i soli rendimenti non sono in grado di sostenere l’attività di consulenza finanziaria offerta.
I più soddisfatti del proprio gestore patrimoniale sono i paperoni americani (75,2%), mentre nessun’altra regione ha superato la soglia del 70%.
Solo il 55,5% della clientela più facoltosa ha affermato di avere stabilito un forte legame con il proprio wealth manager, nonostante i considerevoli rendimenti degli investimenti realizzati negli ultimi due anni. La maggior parte di questa clientela (64,3%) a livello internazionale ha poi affermato che utilizzerebbe un sistema migliore per l’individuazione di un nuovo consulente finanziario.
In questo contesto secondo Monia Ferrari, head of banking di Capgemini Italia,

“le società di wealth management hanno chiare opportunità per rafforzare la relazione con i propri clienti dall’elevato patrimonio, dato che quasi la metà di loro afferma di non sentirsi molto legato ai propri gestori patrimoniali. Offrire un’innovativa customer experience digitale è un modo per consolidare il rapporto tra wealth manager e clienti”.

Cresce l’interesse per le cripotovalute

Tra le novità più importanti che emergono dalla ricerca spicca l’interesse dimostrato per gli investimenti più innovativi come quelli legati al mondo delle cripovalute. Sebbene non rappresentino ancora una parte importante dei portafogli della clientela più facoltosa, il Bitcoin e le altre criptomonete stanno registrando un interesse crescente come strumento di investimento e di riserva di valore.
Nel 2017, gli investimenti in criptovalute hanno registrato una forte eco mediatico e la loro capitalizzazione di mercato ha raggiunto il picco massimo all’inizio di gennaio 2018.
La clientela private mostra un cauto interesse a detenere questo strumento: a livello globale, solo il 29% mostra un alto livello di interesse, mentre il 26,9% dichiara di essere piuttosto interessato. La cautela si affianca a una costante attenzione agli sviluppi futuri. Il potenziale delle criptovalute, in termini sia di rendimenti degli investimenti sia di riserva di valore, sta fungendo da driver dell’interesse degli Hnwi, in special modo nelle fasce più giovani: il 71,1% di quelli con un’età inferiore ai 40 anni attribuisce grande importanza alla ricezione di informazioni sulle criptovalute dalle principali società di gestione patrimoniale, rispetto al 13% dei paperoni con età superiore a 60 anni.
Ma quando nel fornire informazioni su questa tipologia di strumenti ai clienti Hnwi, le società di wealth management hanno un atteggiamento ambivalente, con solo il 34,6% degli Hnwi a livello internazionale che afferma di aver ricevuto tali informazioni dai propri wealth manager.

I colossi del tech sfidano i banker

Sebbene un ingresso diffuso a livello globale delle BigTech nel comparto della gestione di grandi patrimoni rimanga ancora incerto e tutto da decifrare, nei prossimi 24 mesi le principali banche private internazionali (quasi i tre quarti di tutte le società intervistate da Capgemini) investiranno in tecnologie innovative come l’intelligenza artificiale, mentre si preparano a fronteggiare le BigTech pronte a svolgere un ruolo più ampio nel settore finanziario.
L’approccio più probabile delle banche tradizionali per contrastare le BigTech sarà basato sulla creazione di partnership attraverso la condivisione di prodotti e servizi white label o sull’utilizzo di modelli che supportano le società con processi di back e middle-office. In pratica verranno condivisi i costi fissi di struttura, come già succede per altri settori industriali come quello dell’auto. Indipendentemente dal modello prescelto dalle BigTech per fare il proprio ingresso sul mercato e dall’orizzonte temporale, gli esperti di Capgemini evidenziano che il mondo del private banking deve trasformare il modo in cui investe per il futuro e allontanarsi dai tradizionali modelli di budgeting per adottare un approccio più dinamico, basato sull’analisi dell’intero portafoglio della clientela. Una tendenza che almeno in Italia è stata adottata soprattutto dalle reti di consulenti finaziari, sempre più orientate verso la clientela private di alto profilo.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di luglio/agosto del mensile Wall Street Italia