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Sempre più un capitalismo di stato, altro che mano invisibile

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Roma – Altro che laissez faire e liberismo economico propugnato da Adam Smith che, nel “La ricchezza delle nazioni” scriveva che, l’individuo che “si propone unicamente il proprio profitto, è come se fosse guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non faceva parte delle proprie intenzioni”.

Il pensatore scozzese, considerato tra i fondatori del capitalismo moderno, si metterebbe probabilmente le mani nei capelli nell’osservare il percorso che il sistema economico mondiale attuale sta intraprendendo. La questione è affrontata dall’Economist, in un articolo dal titolo più che eloquente: “The visible hand”, ovvero “la mano visibile”.

Firmato dal giornalista Adrian Wooldrige, l’editoriale parla dell’avvento di una nuova forma di “capitalismo di stato”, che si sta facendo strada in particolar modo nelle economie dei paesi emergenti e che sta risultando in una fusione tra lo stato e i poteri del capitalismo.

Il capitalismo di stato, in realtà, non è un fenomeno del tutto nuovo: si è concretizzato in passato durante l’ascesa del Giappone nello scacchiere dell’economia mondiale, durante gli anni ’50, ma si era fatto strada anche prima, durante la Germania, nel 1870. Tuttavia, “non ha mai operato prima di oggi con strumenti talmente sofisticati”.

Un esempio calzante è sicuramente quello della Cina, paese che ha visto il proprio pil, nel corso degli ultimi 30 anni, avanzare a un ritmo del 9,5% l’anno e il commercio internazionale balzare del 18%, in termini di volumi. Ora, “lo stato cinese è il principale azionista nelle principali 150 aziende del paese” e condiziona anche il mercato “pilotando la propria moneta, dirottando fondi in quei settori che vengono favoriti e lavorando strettamente con altre società cinesi che operano all’estero”.

Ma la Cina non è certamente l’unico ostacolo al liberismo economico. La più grande società di gas naturale al mondo, Gazprom, è di proprietà della Russia. Saudi Basic Industries Corporation è uno dei colossi chimici più redditizi al mondo.

Il grafico allegato è indicativo nel rappresentare fino a dove la mano visibile degli stati riesce ad arrivare: in generale, le aziende statali rappresentano l’80% del valore del mercato azionario in Cina, il 62% di quello russo e il 38% di quello brasiliano. E, passando ai paesi avanzati, che dire del governo francese, che ha creato anch’esso un proprio fondo sovrano? C’è poi l’esecutivo del Sud Africa, che sta parlando apertamente dell’opportunità di nazionalizzare le aziende e di creare dei grandi colossi statali.

Il quadro, nel complesso, scatena diversi interrogativi. “Come si può arrivare ad avere un sistema commerciale giusto, se alcune aziende beneficiano del sostegno dei governi nazionali? Come si può impedire ai governi di utilizzare le aziende che controllano alla stregua di strumenti per esercitare il potere militare?”. E, anche, come non ci si può preoccupare delle conseguenze, che potrebbero assumere la forma di “fenomeni di xenofobia e protezionismo”?

Ian Bremmer, direttore generale di Eurasia Group, gruppo di consulenza sui rischi politici, parla già di “fine del libero mercato” in un libro che porta esattamente questo titolo. Secondo l’Economist, non si può ancora parlare di fine del capitalismo. Ma il funzionario ha ragione, afferma la rivista britannica, soprattutto se si guarda alle economie emergenti, visto che un numero sorprendente i governi stanno imparando a utilizzare il mercato per promuovere i loro obiettivi politici.

Infine, in aggiunta a quanto scrive l’Economist, chi può negare che la mano visibile dello stato abbia svolto un ruolo cruciale negli Stati Uniti, le cui banche sono state salvate con i soldi dei contribuenti per cercare di arginare la terribile crisi finanziaria iniziata del 2008?

E in Europa, chi sta pagando per impedire alla logica del libero di mercato di fare il suo corso e decidere quali sono i titoli di stato ad avere davvero un valore deciso dalla “mano invisibile”, senza beneficiare di alcun tipo di sostegno?