Editoriali

Seconda ondata: Ecco il documento di cui bisognava tener conto…

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Seconda ondata: ecco il documento di cui bisognava tener conto

Ebbene ci siamo, siamo al giorno del nuovo DPCM ed altri ne arriveranno e restrizioni arriveranno, ne arriveranno sempre di maggiori. Ci siamo, siamo tornati al tempo delle conferenze stampa. Siamo punto e accapo. Siamo qui, in questo contesto di numeri, di crescita di infetti, di pericoli per le terapie intensive e per gli ospedali che potrebbero non riuscire a sopportare il peso del numero di persone che dovessero avere bisogno di un letto da occupare per essere curati. Siamo punto e accapo. Come se il lockdown non ci fosse stato, come se tutto quello che è accaduto non avesse insegnato nulla, come se la storia non avesse insegnato nulla.

Qualche giorno fa intervistando Paolo Mieli per un evento di Schroders gli ho sentito dire che: “tra i minimi comuni denominatori di tutte le Pandemie che l’umanità è stata costretta ad affrontare c’è il dato legato alla letalità della seconda ondata. Il motivo? Gli eccessi di rilassatezza dopo che la prima ondata si era attenuata.

Siamo allo stesso punto?

Non era possibile prepararsi per tempo? Evitare questi numeri allarmanti? Non era possibile anticipare qualche azione di chiusura quando i numeri parlavano di 1500 contagiati al giorno invece che arrivare a 10mila?

Siamo allo stesso punto o non è questo il punto?

Eppure il Ministero si era mosso per tempo…

Lanciando una lodevolissima iniziativa per verificare cosa stesse davvero accadendo

https://www.youtube.com/watch?v=lULZXA7ui3o&feature=emb_logo

Cosa voglio dire? Il testo che potete leggere qui sotto fa parte di un documento prodotto da ISTAT

( https://www.istat.it/it/files//2020/08/ReportPrimiRisultatiIndagineSiero.pdf) e pubblicato il 3 agosto scorso.

 

 

“Dal 25 maggio al 15 luglio è stata condotta l’indagine di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2 secondo quanto previsto dal decreto legge 10 maggio 2020 n. 30 “Misure urgenti in materia di studi epidemiologici e statistiche sul SARS-CoV-2”, convertito in legge il 2 luglio 2020. Titolari dell’indagine sono Istat e Ministero della Salute nelle rispettive funzioni, mentre la Croce Rossa ha condotto la rilevazione sul campo con l’aiuto delle Regioni. L’Istat ha curato il disegno statistico dello studio, la progettazione del questionario – condividendola con il Comitato Tecnico scientifico – e l’analisi dei dati. Il Ministero della Salute ha sviluppato la piattaforma di monitoraggio e coordinato la rilevazione sul campo anche nel raccordo con le Regioni, i centri prelievo e i laboratori.

L’indagine mira a definire la proporzione di persone nella popolazione generale che hanno sviluppato una risposta anticorpale contro SARS-CoV-2, attraverso la ricerca di anticorpi specifici nel siero . La metodologia adottata consente, oltre che di valutare il tasso di siero-prevalenza per SARS-CoV-2 nella popolazione, di stimare la frazione di infezioni asintomatiche o subcliniche e le differenze per fasce d’età, sesso, regione di appartenenza, attività economica nonché altri fattori di rischio.

I dati di siero-prevalenza a livello regionale, da integrare con quelli di sorveglianza epidemiologica, sono particolarmente preziosi sia per conoscere la quota di popolazione che è stata infettata nei mesi precedenti, sia per la messa a punto di programmi sanitari al fine di prevenire future ondate dell’epidemia e orientare adeguatamente le politiche sanitarie”.

Ed i risultati al 3 agosto dicevano che:

 

“Livelli di sieroprevalenza al 2,5%, pari a 1 milione 482 mila persone

Sono 1 milione 482 mila le persone, il 2,5% della popolazione residente in famiglia (escluse le convivenze), risultate con IgG positivo, che hanno cioè sviluppato gli anticorpi per il SARS-CoV-2, (Prospetto 1). Quelle che sono entrate in contatto con il virus sono dunque 6 volte di più rispetto al totale dei casi intercettati ufficialmente durante la pandemia, attraverso l’identificazione del RNA virale, secondo quanto prodotto dall’Istituto Superiore di Sanità.

Come già evidenziato dai dati ufficiali in tema di mortalità e dai livelli di infezione, le differenze territoriali sono molto accentuate. La Lombardia raggiunge il massimo con il 7,5% di sieroprevalenza: ossia 7 volte il valore rilevato nelle regioni a più bassa diffusione, soprattutto del Mezzogiorno. Il caso della Lombardia è unico: da sola questa regione assorbe il 51% delle persone che hanno sviluppato anticorpi. D’altra parte in Lombardia, dove è residente circa un sesto della popolazione italiana, si è concentrato il 49% dei morti per il virus e il 39% dei contagiati ufficialmente intercettati durante la pandemia: in alcune sue province, quali ad esempio Bergamo e Cremona, il tasso di sieroprevalenza raggiunge addirittura punte, rispettivamente, del 24% e 19%.

Insomma, se questi erano i risultati al 3 agosto, se questa indagine era preziosa per ottenere dati che, come cita il documento, sono particolarmente preziosi sia per conoscere la quota di popolazione che è stata infettata nei mesi precedenti, sia per la messa a punto di programmi sanitari al fine di prevenire future ondate dell’epidemia e orientare adeguatamente le politiche sanitarie…”.

Perché, ci chiediamo, oggi ci troviamo in questa situazione? Perché, se l’analisi fatta 3 mesi fa raccontava in anticipo cosa sarebbe successo?