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SE IL PETROLIO SALE, CHE FARANNO LE BORSE?

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(WSI) – La figura più significativa emersa sui grafici nel corso delle ultime settimane è probabilmente il testa spalle rialzista disegnato dal prezzo del petrolio (WTI Crude), completato il 22 febbraio. L’andamento del prezzo del greggio ha infatti tracciato a partire dai minimi del mese di novembre una sorta di tridente rovesciato, dove la punta centrale è più estesa delle due laterali, una classica figura di inversione cara agli analisti tecnici sia per la sua affidabilità a livello previsionale (difficilmente il segnale inviato, in questo caso di rialzo, viene dalla successiva evoluzione del mercato) sia per la possibilità che offre di calcolare dopo il suo completamento un obiettivo per i prezzi utilizzando l’ampiezza della configurazione stessa e proiettandola dal punto di convalida.

Dal momento che l’ampiezza del testa spalle in questione è di 8,50 dollari circa e che la linea che lo delimitava transita in area 49,50 è possibile quindi ipotizzare un obiettivo per i prezzi in area 58 dollari al barile, non troppo distante quindi dai precedenti massimi di ottobre, a 56,60 dollari circa.

Se il destino del prezzo del greggio è veramente quello di andare a ritoccare i precedenti massimi storici, quale effetto potrebbe avere questo rialzo sugli indici azionari e sui mercati finanziari in generale? La risposta a questa domanda richiede che venga cercata la motivazione che sta alla base del recente rialzo. I principali fattori sembrano essere due, uno contingente e l’altro strutturale.

Il primo è quello dell’ondata di freddo che ha colpito il Nord Est degli Usa facendo aumentare il consumo di combustibili da riscaldamento. Secondo l’Opec questo elemento da solo non basta a giustificare il ritorno del WTI in area 52 dollari, dal momento che le attuali forniture sono in eccesso di circa 200mila barili al giorno rispetto alla domanda.

Il secondo fattore destabilizzante per il prezzo del greggio è invece la revisione da parte dell’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia) delle previsioni di crescita della domanda mondiale di petrolio nel 2005, che potrebbe salire di 80mila barili al giorno, ed avere quindi un effetto ben più duraturo sui prezzi rispetto alla maltempo invernale. La crescita della domanda mondiale è una conseguenza della crescita dell’economia a livello globale, con aree particolarmente attive gli Usa e l’Asia.

In base alla teoria economica la conseguenza di un panorama di questo tipo, con prezzi del petrolio ancora al rialzo, almeno nel medio termine, a seguito di una ulteriore espansione della crescita economica, anche se forse ad un tasso inferiore a quello visto nel 2004, dovrebbero essere quella di vedere le borse ancora orientate positivamente ed i mercati obbligazionari diretti invece al ribasso: l’elevato prezzo del greggio dovrebbe mettere pressione sui tassi di interesse, fenomeno che del resto la Banca Centrale Americana ha già sussurrato di voler assecondare, con conseguenza negative sul prezzo dei bond.

Sui mercati azionari invece la crescita dei tassi di interesse dovrebbe essere più che bilanciata dall’aumento dei profitti delle aziende, che in questa fase di espansione del ciclo sembrano in grado di fare segnare ancora per qualche trimestre utili in miglioramento. Ed i grafici sembrano confermare questo quadro: l’indice MSCI mondiale in dollari venerdì 4 marzo ha superato di slancio i massimi di fine 2004, segnalando la ripresa dell’uptrend in atto da agosto, mentre il future sul decennale Usa ha violato il 2 marzo con un gap ribassista (che ora sta tentando di ricoprire) la base della fase laterale disegnata dai massimi del settembre 2004.

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