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SCUDO FISCALE: PROTEGGERA’ ANCHE LE SOCIETA’, NON SOLO LE PERSONE FISICHE

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Sono 36 i Paesi nei quali “è possibile effettuare la regolarizzazione” in loco dei capitali illegalmente detenuti all’estero. Nell’elenco pubblicato in allegato alla Circolare sullo scudo fiscale dell’Agenzia delle Entrate non figurano né la Svizzera né San Marino. Chi detiene illegalmente capitali in questi Paesi potrà dunque, in base al decreto varato dal governo, solo rimpatriarli.

SCUDO FISCALE: QUI LA CIRCOLARE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

L’Elenco dei Paesi – Svizzera, San Marino e Principato di Monaco sono Paesi importanti per lo scudo fiscale italiano. Secondo le stime dell’Associazione Italiana dei Private Bankers sui quasi 300 miliardi di euro di tesori italiani oltre confine, 125 miliardi si troverebbero proprio in Svizzera e 86 miliardi di euro in Lussemburgo. Ecco l’elenco completo, pubblicato in allegato alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate, dei Paesi dai quali è possibile effettuare la regolarizzazione, e non necessariamente dunque il rimpatrio, dei capitali: Australia, Austria, Belgio, Bulgaria, Canada, Cipro, Corea del Sud, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Tirchia, Ungheria.

L’onere della prova – La circolare pubblicata oggi contiene le istruzioni operative per lo Scudo fiscale. Tra l’altro, indica che non ci sarà inversione dell’onere della prova. Chi aderisce allo scudo non dovrà cioè dimostrare che i capitali e le attività detenute all’estero sono frutto di evasione fiscale. Inoltre il rimpatrio o la regolarizzazione sono ammessi anche nel caso in cui le attività sono detenute all’estero per il trmite di trust. In sostanza non sarà accertato se i capitali detenuti in paradisi fiscali siano stati costituiti mediante redditti sottratti alla tassazione.

Chi può aderire allo scudo – L’adesione allo scudo è ammessa non solo nel caso di possesso diretto delle attivita’ da parte del contribuente, ma anche se le attivita’ sono intestate a fiduciarie o possedute per il tramite di interposta persona, come nel caso dei trustLo “scudo fiscale” vale anche per le società. Lo ha chiarito la circolare applicativa dell’Agenzia delle Entrate che di fatto amplia la portata del terzo condono varato negli ultimi sette anni per far emergere parte dei capitali esportati illegalmente all’estero dai contribuenti italiani.

Il documento spiega infatti che le norme dello “scudo fiscale” si rivolgono “alle persone fisiche e agli altri soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato che, anteriormente al 31 dicembre 2008, hanno esportato o detenuto all’estero capitali e attività in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari sanciti dalle disposizioni sul cosiddetto monitoraggio fiscale”. Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare accedendo alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo subito: costa solo 0.77 euro al giorno, provalo ora!

In concreto, precisa la circolare, le operazioni di rimpatrio o regolarizzazione effettuate da una persona fisica non potranno essere utilizzate dal fisco italiano per far partire un accertamento, né potranno essere utilizzate nell’ambito di un controllo avviato anche per motivi diversi nei confronti di una società di capitali di cui quel contribuente è il “dominus” (ossia il soggetto che esercita il controllo sull’azienda, sia come azionista di maggioranza o comunque di riferimento, sia come amministratore).

L’ampliamento “di fatto” delle norme ai soggetti “indirettamente riconducibili” al “dominus”, ossia alle società, resta peraltro valido esclusivamente ai fini tributari. L’interpretazione in senso “estensivo” dello scudo da parte dei tecnici dell’Agenzia era del resto nell’aria, dato che in assenza di una copertura per le società molti contribuenti piccoli imprenditori (il famoso “popolo delle partite Iva” tanto caro all’attuale maggioranza ed in particolare alla Lega) avrebbero potuto preferire non utilizzare il condono.

Se la sanatoria li avrebbe messi al riparo da ogni problema col fisco a livello personale, infatti, l’emersione di capitali illegalmente esportati all’estero avrebbe potuto rivelarsi dannoso per le proprie aziende, potendo configurarsi come una “notizia di reato” a partire dalla quale l’Amministrazione tributaria avrebbe potuto avviare accertamenti. Ipotesi ora esplicitamente esclusa anche per tener conto del principio, contenuto nel decreto varato dal Parlamento, che le operazioni di emersione previste dalla sanatoria non potessero in alcun caso essere utilizzate (salvo che in caso di procedimenti già in corso) per colpire il contribuente “infedele”.

Ovvero, più concretamente, per evitare un “flop” del provvedimento, che a fronte del pagamento di una “penale” del 5% dovrebbe consentire il rientro in Italia di una somma tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, a fronte dei 300-500 miliardi che si stima possano essere stati depositati illegittimamente all’estero dai contribuenti italiani negli anni. Il che, calcolatore alla mano, significa un gettito tra i 4 e i 5 miliardi di euro per le casse dello stato, che si dovrebbe concretizzare entro il prossimo 15 dicembre (data ultima per procedere al versamento del suddetto 5%).

“È evidente – ha ulteriormente rassicurato ieri il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera – che terremo conto del fatto che il denaro non viene preso da sotto il materasso”. L’importante sarà “il momento del versamento. Tutti gli altri atti amministrativi necessari possono essere compiuti anche successivamente, in un ragionevole lasso di tempo”. Quasi a dire che l’importante in questo momento è fare cassa, per la carta (nel senso di documentazione) c’è sempre tempo.