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SCUDO A GONFIE VELE. E IL NORD EST FESTEGGIA

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(WSI) – “I soldi stanno tornando. Finalmente si sono mossi anche i conti grossi, quelli delle cifre importanti”. Lo assicura l’Uomo delle Banche. Si tratta di un signore con grande esperienza finanziaria (e molti contatti) che di questi tempi si muove fra la Brianza e il ricco Nord Est cercando di intercettare i capitali in rientro (grazie allo scudo fiscale) per investirli, magari presso quelle stesse banche da cui sono partiti per far ritorno sul patrio suolo.

«Insomma, cerca di farli tornare “là”, ma questa volta in modo trasparente e chiaro, come regolari operazioni bancarie».
Perché i grossi capitali si sono mossi solo adesso?
«Se uno ha un conticino cifrato a Lugano, la decisione di rientrare (e le successive operazioni) sono abbastanza semplici. Ma i capitali importanti hanno una struttura più complessa. Il conto nella banca svizzera di solito fa capo a una Fondazione di un paradiso fiscale e il beneficiario sta in un altro paradiso fiscale. Per rientrare davvero, in questo caso c’è un iter burocratico piuttosto lungo, bisogna passare attraverso due o tre paesi diversi».

Mi tolga una curiosità. Come mai, dopo aver fatto tanta fatica a portare fuori questi soldi, adesso c’è voglia di rientrare?
«Le risposte sono due o tre. Il primo è costituito senz’altro dalla paura. Vede, rispetto a qualche anno fa anche i paradisi fiscali sono diventati meno sicuri. E, se si viene presi, le pene sono piuttosto forti. Inoltre, i mezzi di indagine sono diventati anch’essi più precisi e più penetranti. In sostanza, chi ha i soldi all’estero, anche se protetti da vari schermi, non si sente più al sicuro come qualche anno fa. E allora, se qualcuno gli apre una finestra a basso costo per il rientro (è il caso dello scudo fiscale), decide magari di approfittarne e di rientrare. Ma c’è anche una questione di costi».

Cioè?
«Se lei ha un conto (con investimenti) nella banca sotto casa, ogni tanto si affaccia dentro e può dare un’occhiata a come stanno i suoi soldi: andamento e prospettive. Se invece li ha, poniamo, a Montecarlo, tutte le volte (per avere le idee chiare) deve andare fin là e parlare con il suo banchiere, ragionare con lui su che cosa fare. Questo porta via tempo e va fatto con molta discrezione. Se uno va troppo spesso a Montecarlo o a Lugano finisce che viene notato e segnalato: da quel momento la macchina della sorveglianza si mette in moto e è facile cadere nella rete dei controlli. In sostanza, c’è il rischio di essere comunque scoperti e la gestione di questi soldi è comunque faticosa e costosa. In più c’è l’elemento “familiarità”, complicità insomma».

Di che cosa si tratta?
«Se lei ha un conto presso una banca nazionale e le hanno perso molti soldi con investimenti sbagliati, va lì, parla con il direttore, alza un po’ la voce e c’è il caso che alla fine si decida (soprattutto se lei è un investitore importante) di fare a metà. In ogni caso, uno sconto dovrebbe riuscire a averlo. Se invece ha i soldi in una banca di Montecarlo e ci sono state delle perdite, nessuno muoverà un dito. Certo non è in condizioni di alzare la voce, visto che di fatto è un clandestino. Insomma, a conti fatti è meglio stare in Italia, qui si è più in famiglia. E anche perché, intanto, premono altre urgenze».

Magari l’azienda di famiglia va male e servono soldi, ad esempio.
«Questo è quello che si dice, soprattutto di questi tempi. Ma non credo che si tratti del motivo più importante. Le ragioni per cui si fanno rientrare i soldi prima portati all’estero sono tante. Al primo punto, se vuole, c’è il fatto che la crisi c’è stata un po’ per tutti e quindi i redditi di tutti sono diminuiti. Allora, chi ha un po’ di soldi all’estero decide magari di farli rientrare perché, in attesa che le cose tornino normali, non vuole diminuire o cambiare il suo tenore di vita. Insomma, ho delle riserve occulte, perché non usarle».

Non le sembra di esagerare?
«No. Ho visto gente che con i soldi in rientro conta di dare l’anticipo per la barca nuova, prima. E poi, fra qualche mese, il saldo. Ma c’è anche, dietro questi denari che ritrovano la strada di casa, qualche storia generazionale».

Tipo gruzzoletto per gli eredi?
«Esattamente. Il grosso di questi soldi è uscito negli anni Settanta e Ottanta, quando maggiori erano le preoccupazioni per un possibile crack finanziario dell’Italia (o le paure per la politica). I loro “autori”, quelli che hanno commissionato le spedizioni, hanno tutti ormai una certa età e quindi cominciano a porsi un po’ il problema del “dopo”. E non sempre hanno una discendenza in grado cavarsela fra fondazioni e conti esteri, codici cifrati e trust panamensi. Anche perché bisognerebbe mettere al corrente tutta questa gente (magari si tratta di nuclei familiari anche piuttosto estesi) di segreti che forse è meglio non mettere troppo in giro.

Che senso ha avere un conto cifrato a Lugano, se poi bisogna raccontare tutto a quattro figli, a una moglie e a tre nuore? Ognuna di queste persone, fra l’altro, potrebbe un giorno trasformarsi in un delatore, e per i motivi più diversi. Insomma, il conto cifrato è un’eredità difficile da lasciare, forse è addirittura impossibile. Meglio, molto meglio, allora, portare i soldi in Italia e pensare ai congiunti aprendo delle tranquille polizze sulla vita o facendo dei regolari investimenti presso il banchiere di famiglia. Nei casi più difficili (le famiglie a volte sono covi di risentimenti), si fanno rientrare i denari, si distribuiscono e arrivederci. Il punto fondamentale, comunque, è quello detto all’inizio: i soldi “trafugati” all’estero non sono un bene che si può lasciare in eredità così com’è. Il conto cifrato è già diventato un pericolo di suo, l’idea di “spartirlo” fra congiunti diventa una specie di incubo.
Meglio, molto meglio, riportare tutto a casa e chiudere la partita una volta per tutte».

Eravamo partiti dicendo che questi soldi rientravano per sorreggere le aziende familiari in crisi, ma mi sembra che non sia proprio così.
«Guardi, siamo agli inizi e quindi posso anche sbagliarmi. Dai movimenti che ho visto io fino a oggi, e per i colloqui che ho avuto, penso che alla fine meno del 50 per cento delle somme in rientro finirà nelle aziende in difficoltà. E questo un po’ perché di questi tempi tutti fanno un po’ fatica a mettere soldi di famiglia in aziende che vanno male. E un po’, se non soprattutto, perché c’è la tendenza a considerare questi soldi “imboscati” all’estero come i risparmi di una vita e che quindi devono servire a sistemare, semmai, i familiari. Per le aziende ci sono la cassa integrazione, gli aiuti governativi, le banche e tutto il resto. Se proprio la situazione è disperata, si chiude. Ma il tesoretto deve rimanere in salvo, e con esso anche la famiglia».

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