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Scricchiola l’impero Ligresti. Mps e Bnl, rumor di matrimonio

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(WSI) – C’è un impero finanziario che a Milano sta vacillando in maniera paurosa. È quello costruito da Salvatore Ligresti, il Totuccio di Paternò che a 78 anni potrebbe godersi la vita e i quattrini accumulati fin da quando dopo la laurea in ingegneria a Padova si è trasferito sotto la Madonnina con un’irresistibile voglia di mattone.

Eppure per quest’uomo che nel ’92 ha dovuto subire una condanna per tangenti risolta con un paio d’anni di lavoro ai servizi sociali, non sembra esserci pace. Il suo colosso finanziario e assicurativo è al centro di trattative convulse nelle quali sembra emergere un gioco del cerino che vede protagonisti le banche fin troppo generose, gli appetiti dei francesi con gli occhi dolci e una montagna di quattrini.

A questi soggetti “curiosi” ai aggiungono le autorità di controllo come la Consob e l’Antitrust desiderose di vedere chiaro sull’intreccio degli interessi e sugli strappi in Borsa della holding Premafin con la quale Totuccio controlla il Gruppo Fondiaria SAI composto da oltre 100 aziende.

Al suo destino sono interessati anche Mediobanca (dove il Cavaliere di Paternò controlla l’8,6% del patto di sindacato) e Unicredit, l’istituto che durante l’era Profumo ha allargato i cordoni della Borsa. Dietro queste due realtà c’è poi l’ombra lunga di Cesarone Geronzi, il banchiere seduto sulla plancia di comando delle Generali che lo ha sempre protetto e che è interessato al futuro del secondo Gruppo assicurativo italiano.

Il gioco del cerino assomiglia per certi versi a quello della politica romana dove si aspetta che uno dei protagonisti faccia la mossa decisiva per mandare definitivamente ai giardinetti l’anziano imprenditore di Paternò.

Anche l’intervento dei francesi di Groupama, che hanno dichiarato di voler mettere sul piatto 145 milioni per rilevare in modo sopravvalutato il 17,9% della Holding di Ligresti, solleva inquietudini nella famiglia del costruttore. Si capisce benissimo che una volta messi i piedi in casa, i parigini faranno piazza pulita del management e prenderanno il bastone del comando.

Questa ipotesi potrebbe anche andar bene a Totuccio, ma crea in lui e nei suoi tre figli un notevole malessere. La più colpita è la primogenita Jonella, che a 23 anni ha interrotto gli studi alla Bocconi per affondare le mani nella finanziaria di famiglia. Oggi è la donna manager più pagata d’Italia e in materia di compensi se la batte con Marina Berlusconi.

Di sicuro c’è che dal quartier generale di Groupama, dove regna un ingegnere agricolo 57enne di nome Jean Azéma, comincia a trapelare la voce che una volta andato in porto l’operazione d’acquisto del 17% della holding, si dovrà procedere a un rinnovamento profondo del management. Il primo a saltare dovrebbe essere Fausto Marchionni, il piemontese che dopo il diploma di ragioniere e un’esperienza di cinque anni nelle cartiere del Gruppo Burgo, nel 1966 è entrato in SAI fino a diventare il braccio destro di Totuccio.

A Milano gira la voce che per ragioni personali Marchionni potrebbe rinunciare presto al suo incarico che gli frutta più di 6 milioni di stipendio l’anno; al suo posto c’è già chi vede Emanuele Erbetta, l’uomo al quale nel 2008 è stata affidata la responsabilità del ramo danni e del mercato di SAI. Le sue quotazioni sono in rialzo, ma il profilo sembra inadeguato rispetto a quello di un robusto capoazienda che sia in grado di tenere a bada i francesi e destreggiarsi tra le banche.

Tra queste Mediobanca sembra essere la più interessata a non mollare la presa in modo da pilotare il destino di Ligresti e della sua famiglia. Purtroppo i due “alani” Pagliaro e Nagel sembrano muoversi all’interno di un salotto che è diventato molto più debole rispetto alla Piazzetta Cuccia dei tempi antichi, ma il boccone di Premafin e SAI con il pacchetto di partecipazioni strategiche che l’anziano Ligresti ha ancora tra le mani, è troppo appetibile per consentire che siano solo i francesi (teleguidati da Geronzi) a chiudere il gioco del cerino.

In questo scenario il popolo bue dei piccoli azionisti è tagliato completamente fuori, e non a caso Alessandro Penati ha concluso il suo micidiale articolo di sabato su “Repubblica” con queste parole: “la Borsa è diventato un posto dove pochi privilegiati fanno gli affari propri. Con i vostri soldi”. Un copione che la finanza milanese conosce a memoria.

CHIEDERE A LUIGINO ABETE SE HANNO FONDAMENTO LE VOCI DI UNA FUSIONE TRA BNL E MONTEPASCHI CHE HANNO PRESO A CIRCOLARE NELLE ULTIME SETTIMANE

Luigino Abete ha ripreso a sudare. Chi l’ha visto al Festival del Cinema di Roma dove la sua banca è stata tra i principali sponsor, ha apprezzato la generosità con cui regalava biglietti per le proiezioni anche ad amici conosciuti in anni lontani.

Adesso però il sipario sulla costosa kermesse del cinema è calato e Luigino continua a saltellare nei panni di banchiere, imprenditore, cineasta ed ex-tipografo che conserva la passione per la carta e le agenzie di stampa. I suoi esercizi sulla corda sono da equilibrista furbo che attraverso un’infinità di incarichi (il primo risale al ’78 quando fu eletto presidente dei Giovani Imprenditori) cerca comunque un ruolo di prestigio all’altezza delle sue ambizioni.

Non è immaginabile infatti che possa accontentarsi di fare il presidente di Cinecittà dove è sbarcato nel gennaio del 1997, e nemmeno la presidenza di BNL e di Assonime lo gratificano più di tanto. Per un uomo di questo talento ci vorrebbe una poltrona importante che lo rimetta in quel circuito della politica rispetto al quale è sempre stato borderline pur avendo una irrefrenabile voglia di scendere in campo.

Il quadro politico però è terribilmente confuso e a Luigino, schiacciato in una dimensione provinciale, non resta che riconvertirsi sulla realtà romana e sulla classe dirigente della Capitale verso la quale dispensa giudizi prudenti. In un’intervista a piena pagina uscita ieri sul “Corriere della Sera” arriva a dire con enorme sprezzo del ridicolo che “Alemanno, Zingaretti e Polverini hanno un profilo personale alto”, e sull’operato del sindaco si spinge ad apprezzare “la recente approvazione del secondo polo turistico della Capitale” e il lavoro fatto per la definizione del debito del Comune.

Grande Luigino!, uomo dai mille incarichi, che suo malgrado si trova impigliato nel panorama modesto della sua città. Non gli resta che togliersi qualche sfizio ed è questa la ragione per cui nella stessa intervista punge Andrea Mondello, il barbuto ex-presidente della Camera di Commercio, dicendo: “dopo tanti anni di mandato, le cose alla Camera di Commercio non hanno più funzionato come all’inizio”.

Al giornalista Paolo Foschi, che dopo l’intervista-monumento della settimana scorsa ad Aurelio Regina si diverte a tirar fuori dalla cronaca romana medaglioni un po’ ingialliti, Luigino riconferma la sua voglia di fare a Cinecittà cose mirabolanti e dice che la sua BNL entro il 2011 aprirà nuove agenzie nell’area di Roma.

Qui forse il giornalista avrebbe potuto chiedergli se hanno fondamento le voci di una fusione tra BNL e MontePaschi che hanno preso a circolare nelle ultime settimane, ma di sicuro l’ecumenico Abete di fronte a una domanda simile avrebbe sudato in maniera inguardabile.

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