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SCENARI: LA CRISI USA E’ ORMAI PASSATA

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Consuma che ti passa. La crisi negli Stati Uniti sembra ormai passata, con un un prodotto interno lordo cresciuto nel secondo trimestre del 3,1% e una semplice cura che affonda le radici nella stessa cultura americana: spendere. Sì, è stata la perdurante forza della domanda a far riprendere gli investimenti e la fiducia, a livelli così alti che gli stessi economisti hanno rivisto al rialzo le stime per il terzo trimestre, portandole al 4,5-5%. Un balzo in avanti che l’Europa può al massimo pensare per l’inflazione.

«Il Pil è stato spinto dall’aumento delle spese per il conflitto in Iraq – spiega James O’Sullivan, senior economist di Ubs Warburg – ma ciò che ha trascinato realmente sono stati i consumi». Del resto gli Usa producono annualmente beni e servizi per 10 milioni di miliardi di dollari e circa il 70% viene proprio dalla «personal consumption», da quanto gli americani mettono mano al portafoglio: nel trimestre sono saliti del 3,8%, aiutati dagli acquisti di beni durevoli, in crescita del 24% rispetto al trimestre precedente.

«La fiducia sta tornando – osserva James Glassman, senior economist di JP Morgan – e questo sta aiutando anche gli investimenti aziendali» in attrezzature e software, che infatti da aprile a giugno sono saliti dell’8,2% rispetto al trimestre precedente.

In questo scenario celestiale rimane però un piccolo particolare, la disoccupazione, che è al 6,2% (un valore che in Europa verrebbe giudicato ottimo). Durante lo scorso anno le buste paga del settore privato sono scese di altre 359 mila unità, valore che però maschera 697mila posti di lavoro persi nel settore manifatturiero e 338 mila guadagnati nei servizi. Perché questo sfalsamento? «La produttività è a livelli molto alti – commenta l’economista della Ubs – e questo impedisce che le fabbriche assumano altra gente ai livelli di crescita attuali». Serve, in altre parole, un’ulteriore piccola spinta, che porti il Pil a crescere sopra il 3%, soglia al di sopra della quale, a giudizio degli esperti, si verrà ad avere una domanda tale che le aziende dovranno necessariamente assumere.

Certo, a questo punto sorge il dubbio, la preoccupazione, che la domanda possa sgonfiarsi prima che il mercato del lavoro riparta anche nella componente manifatturiera – e David Rosemberg, capo economista di Merril Lynch lo accenna in una nota agli investitori – ma tanto Glassman che O’Sullivan sono convinti che non si avranno ripercussioni negative grazie a una serie di ragioni: i tagli alle tasse stanno avendo i loro effetti; la produttività sostiene il reddito di coloro che già lavorano; il mercato dei rifinanziamenti dei mutui è ancora forte.

La riduzione dei tassi di interesse ha infatti generato la rinegoziazione con le banche dei precedenti mutui e milioni di statunitensi si sono messi in tasca denaro cash utilizzato per mantenere il livello dei consumi, un giochino che continuerà a funzionare finanto che la Federal Reserve non inizierà a vedere pericoli di inflazione, cosa che al momento non si intravvede all’orizzonte.

Più concreta invece è la minaccia del deficit di bilancio, un buco nelle casse che sta salendo alle stelle. Con molta sicumera però O’Sullivan e Glassman si dicono sicuri che il rosso sia un colore transitorio (che scolorirà entro 5-10 anni), frutto della particolare situazione dell’economia globale, dove c’è un paese, gli Stati Uniti, che è tornato a comprare e quindi a importare, e il consesso degli altri paesi che cerca di portarsi al passo.

Dopo la raffica di dati macroeconomici positivi, il mercato cerca ora nuove conferme e questa settimana guarderà con attenzione a un’altra serie di dati: lunedì la vendita di auto e l’Ism (l’indice dei manager statunitensi responsabili degli ordini di acquisto per il settore manifatturiero), martedì il Beige Book (sintesi dello stato di salute dell’economia pubblicato dalla Federal Reserve), il giorno dopo l’indice Ism per il settore non manifatturiero, gli ordini alle fabbriche giovedì e il dato sulla disoccupazione venerdì.

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