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(WSI) –
The International Economy ha rivolto una domanda ad alcuni esperti: tra dieci anni, quale sarà la grande moneta globale? La mia risposta è che potrebbe essere l’euro. Contrariamente a ipotesi popolari negli anni 90, yen e marco non hanno avuto la possibilità di sfidare il dollaro quale moneta di riferimento: le economie interne erano più piccole di quella Usa e i loro mercati finanziari meno sviluppati e liquidi di quello di New York. L’euro, invece, è uno sfidante credibile: Eurolandia è grande pressappoco come gli Stati Uniti e l’euro ha dimostrato di essere una migliore riserva di valore del dollaro.
A dire il vero, i rapporti di forza tra le valute internazionali cambiano molto lentamente. Sebbene gli Stati Uniti abbiano superato il Regno Unito per dimensioni dell’economia nel 1872, per esportazioni nel 1915 e come creditore netto nel 1917, il dollaro non ha sorpassato la sterlina quale moneta internazionale numero uno fino al 1945. È perciò necessario tener conto degli sfasamenti. Nel 2005 quando con Menzie Chinn abbiamo utilizzato dati storici sulle riserve di valuta straniera delle banche centrali per stimarne i determinanti, anche i nostri scenari più pessimisti non indicavano un sorpasso dell’euro sul dollaro fino al 2022: allora non avremmo potuto dire che il dollaro sarebbe stato detronizzato “entro dieci anni”.
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Ma il dollaro ha continuato a perdere terreno e noi abbiamo aggiornato le nostre stime. In particolare, per riconoscere che Londra sta usurpando il ruolo di Francoforte quale capitale finanziaria dell’euro. E ciò nonostante il fatto che il Regno Unito resta fuori dall’Unione monetaria. Le nostre stime ci dicono ora che il punto di svolta potrebbe arrivare entro l’orizzonte dei dieci anni: l’euro potrebbe sorpassare il dollaro già nel 2015.
Perché tutto ciò è importante? In parte, per ragioni economiche: gli Stati Uniti perderebbero l’esorbitante privilegio di poter finanziare facilmente i loro deficit internazionali. Ma ci sono anche alcune possibili implicazioni geopolitiche.
In passato, i deficit degli Stati Uniti si sono potuti governare perché gli alleati erano pronti a pagare un prezzo per sostenere la leadership mondiale americana: giustamente, l’hanno considerata nel loro interesse. Negli anni Sessanta, la Germania è stata disponibile a compensare le spese per le truppe americane di stanza nel paese per salvare gli Usa da un deficit di bilancia dei pagamenti.
Il declino della sterlina nel corso della prima metà del Ventesimo secolo rientrava in una trama più ampia, che ha visto il Regno Unito perdere via via il suo predominio economico, le colonie, la forza militare e altri simboli di egemonia internazionale. E proprio mentre qualcuno si chiede se gli Stati Uniti non abbiano già intrapreso un percorso di “eccesso di imperialismo” che li porterebbe a ripercorrere le orme dell’impero britannico sulla strada di deficit di bilancio sempre più grandi e di avventure militari eccessivamente ambiziose nel mondo islamico, la sorte della sterlina è forse un utile avvertimento. La crisi di Suez del 1956 è spesso ricordata come il momento in cui la Gran Bretagna fu costretta dalle pressioni americane ad abbandonare quel che restava dei suoi progetti imperiali. Ma andrebbe anche ricordata l’importanza che ebbe un attacco alla sterlina simultaneo alla decisione del presidente Eisenhower di soccorrere la moneta in difficoltà attraverso un intervento dell’Fmi solo a patto che gli inglesi ritirassero le truppe dall’Egitto.
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