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SCATTO D’ORGOGLIO CONTRO IL DECLINO

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Difficile misurare la temperatura economica e sociale in un Paese nel quale ognuno interpreta i dati e adatta le analisi. Tante cifre, poche verità. Ma nei prossimi giorni vi saranno due appuntamenti importanti. Giovedì conosceremo le idee della nuova presidenza della Confindustria. Il lunedì successivo ascolteremo le Considerazioni finali più attese di un governatore della Banca d’Italia. Due appuntamenti mai così poco rituali come quest’anno.

L’impresa volta pagina con la leadership Montezemolo; Fazio leggerà la sua prima relazione dopo i casi Cirio e Parmalat, le discussioni sulla legge a tutela del risparmio e le polemiche sulla durata del mandato.
Due occasioni preziose, da non sprecare. Soprattutto dopo aver letto il rapporto Istat e due studi di rilievo del Centro Einaudi-Lazard e della Goldman Sachs, appena diffusi. L’Italia è in affanno, perde posizioni, cresce (ormai da dieci anni) meno della media europea, ha pochi gruppi industriali, peraltro indebitati, è in ritardo con le riforme. Una società anziana e demotivata. Cose che sappiamo già, purtroppo.

Conosciamo meno altre realtà più incoraggianti che l’Istat, in particolare, sottolinea come segnali di speranza: piccole e medie aziende ormai globali, un tessuto ricchissimo di comunità solidali, l’esempio unico al mondo nella sua capillarità del volontariato, centri di eccellenza splendidi pur senza un sistema alle spalle.

C’e’ chi ha fiducia, investe, partecipa. Non si arrende alla logica del declino. E proprio per questo ci sentiamo di chiedere per i prossimi giorni non solo analisi e proposte, che non mancheranno, ma anche qualche emozione. Uno scatto d’orgoglio. Una scossa morale. Forse, più necessari di un incentivo fiscale o della riduzione di un’aliquota. Un po’ di calore che costringa la classe dirigente di questo Paese a vincere torpore e vittimismo. Qualche schiaffo che la sottragga alla sindrome della fuga e la allontani dalle logiche puramente conservative del potere.

Un richiamo alla responsabilità individuale e sociale rivolto soprattutto a quella fascia di cinquantenni che non smette di pensare al prepensionamento, alla buonuscita (e magari si assegna un vitalizio aziendale affermando in pubblico di essere contro le pensioni d’anzianità).

Ecco una parola da abolire: prepensionamento. Quello reale è ormai reso proibitivo dai conti della previdenza. Ma il più pericoloso è quello psicologico: inaridisce la capacità progettuale e riduce gli anticorpi di una società esponendola alla rassegnazione del declino. Non è con una classe dirigente appagata e piegata che possiamo vincere le sfide della competitività, né con eleganti e disincantati rentiers.

Un’economia di mercato ha bisogno di animal spirits per creare reddito e occupazione. Facile è dire, con una battuta, che oggi si vedono più animals che spirits. Ma, forse illudendoci, crediamo che si possa riscoprire e rivalutare, con orgoglio, quello spirito italiano fatto di concretezza, idee, fantasia e coraggio. Lo spirito che spingeva Einaudi nel ’43 a parlare di una federazione che riunisse tutta l’Europa o confortava Costa, nel Dopoguerra, a credere nella liberalizzazione degli scambi quando tutti invocavano dazi e protezioni.

«Gli italiani devono rendersi conto che sono padroni del loro futuro», diceva Ezio Vanoni negli anni del boom e Raffaele Mattioli, che non avrebbe dato una lira a Tanzi, strattonava nel ’66 quegli imprenditori «troppo impacciati nell’impeto di rinnovamento».

Lo spirito italiano è anche un insieme di intelligenza e volontà. La prima «scopre i beni, inventa metodi e strumenti, guida le nazioni sulla via della cultura e del progresso». La seconda «determina l’azione e affronta gli ostacoli». Carlo Cattaneo (1801-1869): dice niente?

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