Pubblichiamo l’editoriale Orsi & Tori del Direttore di Milano Finanza Paolo Panerai. Ricordiamo ai nostri lettori che Milano Finanza ha stretti rapporti con Capitalia.
Chi non se lo aspettava è un ingenuo. L’azione non era riuscita con il Tapiro contro il governatore, Antonio Fazio; ora si approfitta di un atto a tutela del cittadino (quale dovrebbe essere un avviso di garanzia) per scatenare prima un’azione di plateali perquisizioni, che sempre a tutela del cittadino (nella fattispecie Cesare Geronzi) dovrebbero comunque avvenire nella maniera più discreta e riservata, e poi si va subito oltre dando fiato a un’azione mediatica che non ha confronti, con titoli di testa nei telegiornali e soprattutto con una raffica di dichiarazioni dei soliti noti nemici delle istituzioni bancarie: a cominciare da quella, mirabilmente quasi sincrona con la notizia stessa, del senatore a vita Francesco Cossiga, per proseguire con quella di Giorgio La Malfa, «l’ultima raffica di Salò» a favore dell’ex capo di Mediobanca, Vincenzo Maranghi.
Ma fin qui passi: si sa che negli ultimi due anni si è sviluppato uno scontro fra chi (Maranghi) voleva annullare il ruolo e il potere degli azionisti di Mediobanca e chi (Geronzi, Fazio e gli uomini di Unicredito) cercava di ristabilire il potere costituito nella principale banca d’affari del paese. Ciò che sorprende è la dichiarazione, sia pure sibillina, del ministro dell’economia, Giulio Tremonti, il quale ha detto lapidario: «Io ho parlato il 16 ottobre…».
Quel 16 ottobre il ministro riunì il Cicr (Comitato per il credito e il risparmio) perché voleva analizzare il caso Cirio; ma la riunione non si poté tenere perché il governatore Fazio, che, secondo il regolamento dello stesso comitato, è colui che ha la funzione di proporre temi su cui il comitato stesso deve deliberare, non si presentò alla riunione. Con lettera precisa, Fazio aveva spiegato che, non essendoci nessuna delibera da prendere, non era legittimo convocare un comitato che ha come unica funzione quella deliberante.
Che cosa vuol dire: «Io ho parlato il 16 ottobre…»? Vuol dire che aveva previsto o auspicato l’azione dei magistrati romani? Per il rispetto e l’intelligenza che riconosciamo al ministro Tremonti gli suggeriamo sommessamente di fare una precisazione, poiché sicuramente non si è dimenticato: 1) che appunto un avviso di garanzia è un atto di tutela e non una condanna; 2) che anche se fosse, invece e paradossalmente, una condanna, è dovere del ministro del tesoro (incorporato nel ministero dell’economia) parlare, casomai, solo per proteggere la stabilità del sistema e tutelare la credibilità delle banche, nelle cui casse sono depositati i risparmi degli italiani.
Tutto ciò non vuole affatto dire che la magistratura non debba fare il suo mestiere, cioè accertare i fatti ed eventualmente sanzionare quelli contra legem. In tal senso, anche il presidente di una grande banca è un cittadino come gli altri. Ma appunto perché è un cittadino come gli altri, fino a condanna di terzo grado, è da considerare innocente e non da additare al pubblico ludibrio come sta avvenendo con le metodologie annunciate e la campagna mediatica che ne è seguita.
Non ci si doveva meravigliare che l’avviso di garanzia arrivasse a Geronzi, poiché da tempo la procura di Roma si era inserita nella vicenda Cirio, sia pure arrivando buon’ultima dopo la tempestiva azione del procuratore di Monza. Evidentemente a Roma non era piaciuta la linea comunicata all’opinione pubblica, attraverso Milano Finanza, proprio dal procuratore monzese: avviserò di reato, disse, solo chi può essere sospettato di aver commesso materialmente il reato invogliando o spingendo i risparmiatori a sottoscrivere le obbligazioni Cirio ad altissimo rischio; eviterò di arrivare ai vertici delle banche, che certamente non hanno operato allo sportello. La linea indicata è stata mantenuta dal procuratore di Monza e nessun avviso di garanzia è arrivato a chi non si è occupato direttamente della vicenda Cirio.
L’avviso di garanzia a Geronzi ipotizza, insieme alla bancarotta preferenziale, il reato di truffa ai danni dei risparmiatori. Per questo, con linguaggio pacato, Capitalia ha ricordato in una nota che: 1) i processi decisionali sul credito sono collettivi e quindi, se un reato fosse stato consumato, l’avviso avrebbe dovuto arrivare a tutti coloro che hanno concorso alle decisioni su Cirio (fra l’altro, Geronzi non fa parte del comitato fidi, non avendo poteri operativi); 2) dal 2001 Capitalia non ha più neppure concorso all’emissione di prestiti obbligazionari Cirio e i titoli finiti ai clienti della banca, dopo il collocamento presso gli investitori istituzionali, non supera i 20 milioni di euro; 3) la bancarotta di Cirio e quindi di Sergio Cragnotti se c’è stata, come molto probabilmente c’è stata, è dovuta al mancato rimborso da parte delle società personali di Cragnotti di oltre 500 milioni di euro: un ammanco risultato evidente solo dopo il cambio di auditor per il bilancio 2002.
C’è chi pensa che l’azione contro Geronzi certo rientri, ma non solo, nell’ambito della battaglia attorno a Bankitalia, la cui qualità di istituto senza macchia è stata autorevolmente certificata solo pochi giorni fa dal presidente della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che non è un magistrato, ma presiede il Consiglio superiore della magistratura. A non pochi probabilmente dà fastidio che da alcuni mesi sia ritornata a produrre ricchezza e dividendi la grande banca più acciaccata del sistema, cioè l’istituto che in questi anni ha assolto efficacemente l’azione di salvataggio di altri istituti come un’emanazione laica della banca centrale per evitare crack clamorosi. Insomma, dà fastidio a molti che Capitalia non sia più in crisi ma che il piano a lungo termine concordato da Geronzi e da Fazio (e prima ancora da Guido Carli e Ciampi) per evitare altri casi Sindona e Banco ambrosiano sia arrivato felicemente al traguardo, facendo rinascere un grande istituto con prevalente operatività nel Centro-sud. Naturalmente, a costoro non interessa che con questa strategia siano stati fatti risparmiare migliaia di miliardi che lo stato avrebbe dovuto sborsare se fossero saltati il Banco di Roma, il S. Spirito, la Banca Mediterranea, la Bna e, da ultima, Bipop Carire.
Ci sta anche questa ipotesi. Come ci sta (e non mi fa velo l’amicizia fraterna che ho con Geronzi) che per troppo tempo (ma non quando, secondo la procura di Roma, potrebbero essere stati commessi i reati avvisati) l’allora Banca di Roma abbia sorretto un personaggio come Cragnotti. Le banche hanno la libertà di scegliersi i clienti. E Cragnotti non era un cliente da scegliere. Credo che Geronzi condivida. Ma chi non commette errori? Errori che però non possono essersi trasformati in reati. Almeno quelli di concorso in bancarotta preferenziale, che si è palesata appunto ben dopo l’ultima operazione di collocamento del prestito obbligazionario del 2001, e quello di truffa per la vendita dei titoli ai clienti, visto che Geronzi non fa lo sportellista o il capo dell’ufficio titoli.
La decisione del 2001 di non partecipare più all’emissione di prestiti obbligazionari e di fatto di ridurre i rapporti con Cragnotti sono un segno evidente, anche se tardivo sul piano del merito del credito, di voler prendere le distanze. C’è da dire che nello stesso tempo gran parte del sistema bancario ha continuato ad aiutare Cragnotti nella sua sete di credito attraverso i prestiti obbligazionari.
Che cosa insegna la vicenda Capitalia-Cragnotti? Una verità semplice e cruda e cioè che non c’è ritegno, nella lotta politica e di potere, a comportarsi come gli sciacalli e a usare i risparmiatori-vittime come armi contro il nemico. Un cinismo che mette paura, mentre cresce la fama di verità dei fatti. Per ottenerla, occorrerebbe che la magistratura non venisse eccitata e coinvolta nella disputa, ma potesse lavorare in serenità, così come ha saputo fare la procura di Monza. Ma si sa, la procura di Roma è stata spesso strumento di offesa o di difesa nell’agone del potere. Speriamo che non accada anche questa volta e che rapidamente si arrivi ai fatti, non solo ai sospetti.
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