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(WSI) – LA LUNGA MARCIA DEI MOTORI
A dare retta agli esperti, il boom dell’auto assumerà in Oriente proporzioni inaudite. Qualcosa di clamoroso, e forse senza precedenti nella storia economica dell’uomo. Sentite per esempio Keith Davey, direttore responsabile dello sviluppo in Asia per Ford Motor Corporation: «La Cina scavalcherà il Giappone per diventare il secondo mercato automobilistico al mondo entro la fine del decennio – spiega a Bloomberg Borsa & Finanza – In seguito, forse già dal 2015, Pechino toglierà lo scettro anche all’America, assumendo la leadership internazionale delle quattro ruote.
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Gli analisti scommettono che l’80% della crescita del settore ruoterà attorno allo sviluppo economico del Far East». Un altro modo di intuire il potenziale di quest’area geografica, spiega Davey, è guardare al misero parco auto esistente: «Nel 2002 c’erano circa 5 vetture ogni mille abitanti in Cina. Per fine decennio, la cifra dovrebbe salire a 16 vetture ogni mille abitanti». Ma persino così, si tratta di numeri piccini: per raffronto, in Italia abbiamo circa 560 auto ogni mille abitanti. Altro che 15 o 16! La tendenza è perciò tutta in crescita. I produttori fanno del loro meglio per incentivare le vendite. E si battono anche ferocemente a suon di sconti. «Le campagne promozionali si moltiplicano – prosegue l’esperto della Ford – Nel 2003, i prezzi sono andati giù dell’8% e nel 2004 del 13 per cento.
L’anno prossimo, poi, le tasse all’importazione dovrebbero calare nel rispetto degli accordi con il Wto, offrendo uno sgravio aggiuntivo agli acquirenti. Acquirenti che non sono più soltanto aziende e istituzioni come accadeva negli anni ’90, ma anche compratori individuali favoriti dalla diffusione del credito al consumo. Diverse stime suggeriscono che almeno il 20% dei cinesi acquista l’auto grazie a un finanziamento. Le autorità di Pechino hanno reso meno rigida la disponibilità di capitali, sicché è lecito attendersi una diffusione costante dei prestiti. Almeno a guardare quanto accade in un mercato maturo come quello degli Stati Uniti, nel quale non il 20%, bensì l’80% di chi diventa proprietario di un autoveicolo paga la macchina a rate».
VINCITORI E PERDENTI.
Se è facile pronosticare uno sviluppo torrenziale per l’industria automobilistica in Cina, ben più difficile è individuare i cavalli su cui scommettere. La morìa dei costruttori è infatti sorprendente. Nel 1992 si registravano oltre 600 fabbricanti di veicoli. Oggi si sono già ridotti a un manipolo di sopravvissuti. Gli altri sono andati gambe all’aria, sopraffatti soprattutto dalla guerra dei prezzi. Insomma qualcosa di simile all’esperienza americana dell’ultimo secolo. Una volta, Warren Buffett, il celebre e arcimiliardario investitore statunitense, osservò che negli Stati Uniti sono rimasti solo i tre grandi di Detroit. Molti hanno dimenticato che all’inizio dell’era dell’automobile si contavano 2mila produttori.
Secondo Ashvin Chotai, analista del cento studi Global Insight, «tutti vogliono una fetta della torta. Sanno che Asia vuol dire crescita e fanno follie per essere presenti. Tuttavia, la corsa alle vendite abbassa i margini e la possibilità di portare a casa lauti profitti». Le aziende passano dalle stelle alle stalle nel giro di una stagione. «Prenda per esempio Volkswagen – dice Chotai – Nel recente passato la casa tedesca era profittevole, soprattutto in Cina; ora perde soldi e quote commerciali.
Al momento i giapponesi e i coreani sembrano avere un vantaggio sui costruttori europei e su quelli americani. La verità è che ogni parte del mondo ama il proprio stile, ed è difficile imporre modelli nati per un pubblico diverso. Le case automobilistiche lo hanno capito e vogliono spostare anche la progettazione, non solo la produzione, in Cina». La sfida dei prossimi anni sarà durissima: le grandi multinazionali, incluse Ford, Nissan e Toyota hanno in programma di investire quasi 15 miliardi di dollari per triplicare la produzione entro il 2010. Buono per i consumatori, forse meno per i profitti.
COMMODITY.
Un numero crescente di esperti ha abbracciato la tesi secondo cui conviene sfruttare indirettamente la nascente industria automobilistica dell’Asia emergente. Per esempio, i più intrepidi hanno puntato sulle aziende che estraggono o lavorano il piombo che è utilizzato nelle batterie per auto. E infatti le quotazioni del piombo sono a livelli record. Oppure hanno scommesso sulla gomma nel mercato dei futures, perché la gomma finisce nei pneumatici. E infatti la gomma sale. Oppure, assai più diffusamente, si sono catapultati sul petrolio, sapendo che non c’è veicolo senza carburante (e le fonti alternative, come l’idrogeno, non si sono ancora affermate). E infatti, il petrolio viaggia ormai verso i 70 dollari al barile. Dopotutto, il consumo pro capite di greggio in Cina è appena un decimo di quello dei Paesi maturi. La richiesta di rame e alluminio è invece un quarto.
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