(9Colonne) – Roma, 29 mar – I salari italiani si trovano ad un livello ormai più basso in termini di potere d’acquisto di quelli della Grecia e superiori, in Europa, solo a quelli del Portogallo. Lo afferma l’Eurispes. Prendendo in considerazione il periodo 2000-2005, mentre vi è stata una crescita media del salario comunitario – per l’insieme dei Paesi europei – del 18%, nel nostro Paese i lavoratori dell’industria e dei servizi (con esclusione della pubblica amministrazione) hanno visto la propria busta paga crescere del 13,7%. Solo la Germania e la Svezia (paesi che comunque hanno livelli retributivi ben più alti dei nostri) segnalano una crescita inferiore, mentre i lavoratori di Gran Bretagna, Norvegia, Olanda e Finlandia hanno visto, nel quinquennio, la propria busta paga accrescersi di oltre il 20%. La posizione del nostro Paese non cambia all’interno della classifica europea, se passiamo a considerare il livello dei salari lordi, ossia l’importo che il lavoratore dipendente vede segnato sulla busta paga (e che non corrisponde al suo contenuto, perché da quel valore il datore di lavoro avrà sottratto, per versarli agli Enti di previdenza, i contributi a carico del dipendente e le imposte dirette, delle quali è responsabile come sostituto d’imposta). Il salario lordo, come è noto, differisce dal costo del lavoro soprattutto per la quota di contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. Riguardo al costo del lavoro, continua l’Eurispes, la posizione dell’Italia è rimasta immutata (al quartultimo posto), sebbene la condizione del nostro lavoratore rispetto ai suoi omologhi d’oltralpe sia peggiorata. Difatti mentre il costo del lavoro è da noi inferiore del 30,6% rispetto a quello della Danimarca (dove è il più caro), se passiamo a confrontare il salario lordo, vediamo che al lavoratore dipendente italiano medio spetta solo il 52% del salario lordo del lavoratore medio danese: questo perché i contributi sociali sono da noi più gravosi che in Danimarca. L’istituto di ricerca spiega poi che il cosiddetto “cuneo fiscale” è molto diverso da Stato a Stato e va dal 51% della Germania per un lavoratore senza famiglia a carico al 22,3% del lavoratore con moglie e due figli a carico in Irlanda, che è il paese con il minor peso del cuneo fiscale comunque lo si calcoli. In questa classifica l’Italia non si trova più agli ultimi posti: se con riferimento al salario medio lordo il nostro Paese occupa il quartultimo posto, tenendo conto dell’incidenza del cuneo fiscale sul costo del lavoro, l’Italia balza al quarto posto, preceduta solo dal Belgio, dalla Svezia e dalla Germania.