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(WSI) –
Barile a 250 dollari; Stati Uniti, Europa e Giappone in recessione, con Pil in discesa di oltre il 5% l’anno. Lo scenario choc, senza precedenti anche nelle analisi più ardite delle banche d’affari, porta la firma autorevole di Standard & Poor’s.
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L’agenzia americana ha diffuso un report che studia quattro possibili evoluzioni dell’attuale conflitto in Medio Oriente. Compreso, appunto, quello di un petrolio a quota 250 dollari, con conseguenze economiche devastanti, tanto da riaprire la porta «allo spettro di una recessione mondiale analoga a quella del 1980-82». S&P ritiene questo scenario «improbabile», ma precisa che «anche la peggiore combinazione di eventi in Medio Oriente è da considerare possibile». Nel caso di un allargamento a Teheran del conflitto, infatti, la reazione più dura porterà alla completa chiusura dello stretto di Hormuz, un collo di bottiglia di 21 miglia (di cui appena due navigabili dalle petroliere) tra Oman e Iran, da cui transita gran parte del petrolio arabo (che a sua volta vale ancora il 31% della produzione mondiale).
Nel caso, invece, Teheran decidesse di chiudere soltanto i propri rubinetti (2,7 milioni di barili al giorno, il 3% dell’output mondiale) i prezzi balzerebbero a 100 dollari, per tornare attorno ai 60-70 dollari solo alla fine del prossimo anno. L’aspetto bellico, peraltro, non è il solo fattore che mette in fibrillazione i mercati.
«Nell’ambito dei progetti di perforazione in tutto il mondo – spiega Charles Whall, di Newton (gruppo Mellon) – sono evidenti i ritardi causati da carenze di ogni tipo, dalla tecnologia alla mancanza di operatori esperti. Mentre gli enormi giacimenti, su cui finora abbiamo fatto affidamento, stanno entrando nella fase di declino terminale. Come le riserve di Cantarelli, in Messico, il più grande giacimento fuori dall’Arabia Saudita». Pozzi nel giardino di casa degli Usa, che quest’anno produrranno l’8% in meno.
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