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Russia e Ue “importano” schiavi nordcoreani e pagano Pyongyang

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Pagare tangenti per essere inviati all’estero come “schiavi” sottopagati al servizio del proprio Paese: è quanto avviene fra la Corea del Nord e la Russia, che accetta di impiegare manodopera nordcoreana a bassissimo costo in cambio di denaro diretto verso il regime di Pyongyang. Il tutto con il favore dei lavoratori in questione, che pur di abbandonare le ristrettezze economiche della Corea del Nord, sono pronti a tutto.

È quanto riporta un’inchiesta pubblicata sul New York Times. La questione, secondo alcune organizzazioni umanitarie, è paragonabile a una tratta degli schiavi (ricordiamo che in Russia la servitù è stata abolita ufficialmente solo nel 1861). Per impedire la fuga dei lavoratori ed assicurarsi che tutto lo scambio avvenga per il “bene” del Paese e non per interesse privato, i nordcoreani sono costantemente sotto la sorveglianza di supervisori del Partito, in uno scenario dai tratti del tutto orwelliani.

Dalla parte della Corea del Nord, che ha ben pochi beni di valore da esportare, confiscare la gran parte dei guadagni ottenuti dai suoi cittadini residenti all’estero è una fonte di ricchezza più che gradita. Secondo alcune stime ogni anno il regime ottiene 120 milioni di dollari all’anno dai circa 50mila lavoratori impiegati in Russia (altre stime parlano 30 o 40 mila). Sarebbe proprio il Paese guidato da Vladimir Putin quello che assorbe più manodopera nordcoreana. Nel complesso, l’Onu ha stimato un giro d’affari legato all’esportazione di manodopera che rende a Pyongyang fino a 2 miliardi di dollari.

In Russia, i nordcoreani lavorano in settori come quello dell’edilizia (ad esempio sono stati impiegati a San Pietroburgo per la costruzione dello stadio di calcio che sarà utilizzato nei futuri Mondiali). La loro operosità, stando alle testimonianze raccolte dal New York Times, è indefessa e per questo molto gradita dalle società che se ne avvalgono.

Lo scorso maggio era già emerso come questo traffico di esseri umani fosse anche arrivato all’interno dell’Unione Europea, in Polonia, con almeno 800 lavoratori. A inizio giugno il ministro degli Esteri polacco, sulla spinta delle polemiche, ha proibito l’ingresso dei lavoratori nordcoreani nel Paese. Fino ad allora, hanno denunciato i giornalisti investigativi che avevano seguito la storia, tutto era avvenuto “nell’indifferenza ufficiale, estesa sino alla Commissione europea”.