*Giuseppe Turani e’ editorialista di La Repubblica. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – In questi giorni la scena economica internazionale sembra un po´ una di quelle commedie degli equivoci in cui non si capisce mai bene chi è chi e che cosa fa.
Speranza e disperazione si muovono insieme e spesso dentro le stesse persone e le stesse istituzioni. In parte questo è dovuto al disorientamento (nessuno capisce bene a che punto siamo della crisi: a metà strada, verso la fine, solo all´inizio?), e in parte al fatto che, avendo sbagliato tutti nei mesi scorsi, nessuno si fida più della propria intelligenza e del proprio acume.
Tutto questo si è visto benissimo venerdì scorso alla Borsa di Wall Street (che dovrebbe essere il luogo dove ci sono quelli più attenti e più esperti). Quando è arrivato l´annuncio che il Pil del quarto trimestre negli Stati Uniti era sceso non del 3,8, come si pensava qualche settimana fa, ma del 6,2 per cento, molti hanno pensato che la fine del mondo fosse davvero cominciata. Con un crollo del Pil di queste proporzioni, con i consumi in discesa verticale, e con 600-700 mila posti di lavoro bruciati ogni settimana, che cosa si può pensare di diverso? Solo la fine del mondo (o il suo inizio) può spiegare numeri di questo genere.
Dopo, nel giro di qualche ora, gli animi si sono un po´ rasserenati, e le quotazioni (pur restando basse) si sono in parte riprese. Perché? Ma perché nella testa degli operatori si è fatta strada l´idea che forse Obama si stava comportando come deve fare ogni bravo amministratore delegato di azienda. Quando uno arriva in un´azienda che fino al giorno prima era stata gestita da un altro, che cosa fa? Scarica sul bilancio del predecessore tutta l´immondizia che trova in giro per gli uffici, tutte le poste di bilancio dubbie, tutte le perdite che gli riesce di scovare. Dopo di che, «ripuliti un po´ i conti», come si dice, si riparte.
Ecco, a molti venerdì scorso è venuto in mente che, forse, quel 6,2 per cento di crollo del Pil nel quarto trimestre del 2008 (ultimo dell´era Bush) potrebbe essere il frutto di una pulizia di bilancio ordinata da Obama. E quindi hanno ripreso un po´ di coraggio. Forse il mondo non finisce e, anzi, forse quel 6,2 per cento di crollo del Pil è proprio il peggio di questa crisi. E sta alle nostre spalle. Da ora in avanti si vedranno ancora dati brutti, si son detti gli ottimisti, ma sempre meno brutti e mai più brutti come quel 6,2 per cento di arretramento del Pil. Come un paziente la cui febbre è arrivata a 41, ma che poi comincia a scendere.
E, subito dopo, ecco che dagli stessi uffici da dove erano partite le vendite, la paura e la sensazione di essere alla fine dell´economia e delle Borse, ha cominciato a volare (spinta dal vento di dotte analisi) la speranza. Da qui a fine anno, si è detto, la Borsa (intesa come indice Standard & Poor´s) potrebbe anche recuperare il 25 per cento.
Tutto questo, dalla fine del mondo a un boom del 25 per cento, nel giro di poche ore e a opera delle stesse persone e istituzioni. Una vera commedia degli equivoci e della confusione.
In realtà, nessuno sa niente. E, anzi, le persone più avvedute stanno maturano un´altra sensazione, molto inquietante. Si ha l´impressione, cioè, che non sia ancora stato afferrato il bandolo della matassa. Da Obama a Tremonti tutti fanno qualcosa (o molto) o fanno finta di fare, ma tutto sommato senza mai arrivare al cuore del problema: senza mai arrivare cioè ai maledetti titoli tossici. Ci sono grandi dibattiti su come liberarsene, feroci divergenze di opinioni, ma i mesi passano, i governi corrono a salvare una banca di qui e una di là, ma i titoli tossici sono sempre lì, dentro i portafogli delle banche. Letali e misteriosi. Si sa che quello è il veleno che è finito nei pozzi e che ha creato questo immenso dramma.
Ma la sensazione è che la bonifica dei pozzi non sia nemmeno cominciata e che, anzi, nessuno sappia esattamente che cosa fare. Per essere più precisi: non si sa nemmeno a quanto ammontino e che cosa possano valere.
Si sa che del veleno è finito nelle conduttore, ma non si sa se si tratta di un chilo o di una tonnellata. Soprattutto, i bonificatori non si sono ancora messi all´opera. Si spera che prima o poi tutto finisca in modo naturale e spontaneo.
Probabilmente è anche per questo che i mercati (e gli operatori che ci stanno sopra) passano nell´arco delle stessa giornata (o dello stesso pomeriggio) dall´ottimismo al pessimismo più cupo. Sono su un mare in tempesta, al buio, e non sanno niente di dove può essere la terra o il porto più vicino. E una qualsiasi buona notizia li fa sperare mentre un qualsiasi «cattivo numero» li getta nello sconforto più nero. Sono in preda a incubi e a sogni (come quello che vede un rialzo del 25 per cento entro fine anno).
Purtroppo, andrà avanti così ancora per molto. I governi, sembra di capire, un po´ non sanno fare luce su questo disastro e un po´ non vogliono (perché le loro colpe, insieme a quelle delle banche, sarebbero troppo grandi).
E quindi si va avanti giorno per giorno, sperando che la «novità» di domani non sia troppo drammatica o troppo pesante. Nel frattempo, pezzi importanti del sistema industriale vanno in crisi e impiegheranno anni e anni per riprendersi.
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