Società

RISPARMIO, L’OCCASIONE PERDUTA

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Paolo Madron e’ il Direttore di Panorama Economy.

D’accordo, la politica è l’arte della mediazione, che di questi tempi
purtroppo si deve accontentare di giocare al ribasso. Quando la
conflittualità attraversa pesantemente le coalizioni, accade
inevitabilmente che la montagna delle buone intenzioni partorisca
topolini. È quello che è successo con il nuovo disegno di legge sul
risparmio, che concede poco a quanti vi avevano visto un’autentica
occasione riformista e molto, troppo, alle prerogative di
autoconservazione dello status quo.

Il risultato è francamente un
discreto pasticcio: dal vagheggiamento della Authority unica si è
passati a tre per arrivare a cinque nella versione finale. Con in più
una sovrapposizione di competenze tra Antitrust e Banca d’Italia in
materia di concorrenza che prefigura uno scenario di equivoci e
confusione, perché storicamente i poteri condivisi finiscono col
neutralizzarsi piuttosto che dar corso all’esercizio delle proprie
funzioni.

Ma era davvero pretenzioso sperare in qualcosa di meno
compromissorio? No, perché la riforma non era stata pensata a freddo, in
un momento di buona vena del capitalismo italiano, ma all’indomani di
una serie di scandali finanziari che ne hanno messo a dura prova la
tenuta. E con il non trascurabile favore di un’opinione pubblica
consapevole della necessità di una svolta. Insomma, in un contesto
ambientale che agevolava l’azione riformatrice. E dunque, se pur sono
comprensibili le preoccupazioni di quanti, presidente del Consiglio in
testa, temevano da un lato l’eccessiva destabilizzazione, dall’altro la
deriva giustizialista di una magistratura che non perde l’occasione di
abusare del guanto di ferro (che errore, a posteriori, la presenza del
pm di Milano Francesco Greco alla riunione dell’Aspen Institute dove il
progetto voluto dal ministro Tremonti aveva ricevuto una benedizione
bipartisan), non sarebbe stato fuori luogo un maggior decisionismo.

In
particolare, per quel che riguarda il ruolo di Via Nazionale, che di
questo disegno di legge può giustamente gioire. Le sue prerogative ne
escono appena scalfite, mentre intatta è la sua giurisdizione in materia
di concorrenza bancaria. Perché, con la necessità del doppio assenso,
Antonio Fazio mantiene il suo potere di veto. A noi, che in tutti questi
mesi abbiamo sostenuto che proprio in questo stava la vera forza del
governatore, la fonte della sua autoreferenzialità, la soluzione non
piace affatto.

E non per una pregiudiziale opposizione a Fazio, ma
perché riteniamo che in democrazia non ci possano essere istituzioni che
rispondono del proprio operato solamente alla discrezionalità di chi le
guida. E non solo, che eccedendo i propri ambiti si pongano come attore
politico antagonista di qualsivoglia governo. Non importa se la crisi
industriale del Paese e la conseguente bancarizzazione del sistema
abbiano finito oggettivamente con l’enfatizzare ruolo e responsabilità
di Bankitalia.

Cucinato il «fritto misto», ora c’è da sperare che il
Parlamento sappia far emergere più distintamente qualcuno dei sapori.
Perché i pastiches non reggono a lungo. A meno che, per porvi rimedio, non si
voglia aspettare la prossima azienda che salta, o la banca che per
comprarsene un’altra si consumerà nell’attesa di un’ambigua
autorizzazione. O, peggio, che sia la normativa europea a fare strame
delle incertezze e delle ambiguità di quella italiana.

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