L’hi-tech americano e Internet, che nella primavera del 2000 furono all’origine di un crollo di Borsa di proporzioni quasi epocali, sono di nuovo in pista, belli e lucidi come fossero nuovi. I dati sono lì a dimostrarlo. Se nell’arco degli ultimi tre mesi il Dow Jones (la old economy) è salito di circa il 12 per cento, il Nasdaq (new economy) è andato su di circa il 18 per cento.
Ma, se si vanno a vedere le performance dei singoli titoli, si trovano anche aumenti del 30-40 e 60 per cento. Insomma, i protagonisti del boom di Borsa di fine anni Novanta, finiti dopo il crollo nel cestino della carta straccia, hanno indossato di nuovo le loro magliette colorate e fanno giri di posta sempre più veloci.
Tutti matti o c’è qualcosa di serio? Per ora, si può solo dire che è in corso una grande scommessa e che gli scommettitori, ovviamente, puntano di nuovo su titoli hi-tech e Internet. Ma perché? La risposta è facile: perché, per come sono fatti, se ci sarà ripresa, saranno i primi a trarne un grande beneficio. Questo infatti dice la prima legge della new economy. Per capire di che cosa si tratta basta fare alcuni semplici esempi.
Se arriva la ripresa economica e, poniamo, si registra un aumento delle vendite del 10 per cento nella General Motors, questo significa che la casa di Detroit ha dovuto piegare lamiere, costruire motori, sedili, ecc., nella misura del 10 per cento in più. Alla fine guadagnerà più soldi, ma nemmeno poi così tanti perché a fronte delle maggiori vendite avrà dovuto sopportare anche maggiori costi.
Nella new economy è tutto diverso, le normali regole dell’economia saltano, e si entra in un’area dalle regole bizzarre e un po’ favolistiche (ecco perché la new economy affascina e, ogni tanto, bidona alla grande).
Anche qui per capirci basteranno pochi esempi.
Prendiamo in esame uno dei settori più hard della new economy (nel senso che ci sono fabbriche e prodotti fisici), quello dei chips, cioè dei semiconduttori. Se arriva la ripresa economica e la richiesta di chips da parte del mercato cresce del 20 per cento, è evidente che le varie Intel, Stm, ecc., dovranno produrre il 20 per cento in più di chips. Ma nell’industria dei chips quello che costa molto è la progettazione e la costruzione degli stabilimenti per la produzione. Solo che i progetti esistono già e gli stabilimenti pure. Quindi alle varie Intel e Stm basterà, come dicono a Wall Street, “buttare un po’ di sabbia (silicio) negli impianti”, per avere in uscita i famosi chips. Insomma, niente grandi spese. E poiché gli impianti di queste aziende sono tutti molto sotto-utilizzati in questo periodo, la produzione aggiuntiva richiesta dal mercato potrà essere fatta con spese minime. E, quindi, guadagni alle stelle.
Tutto ciò è ancora più evidente nel caso delle aziende di software. Prendiamo la più nota, e cioè Microsoft. L’arrivo della ripresa economica (supponiamo) fa salire la richiesta dell’ultima versione della suite di Office. Quanto costa alla società di Bill Gates stampare un milione di copie in più di Office? Un po’ di soldi, certo. Ma in questo caso il costo vero (altissimo) sta nel mettere insieme i milioni e milioni di linee di programma che costituiscono Office. E questo è già stato fatto. Quindi, anche nel caso di Microsoft, guadagni a palate (in caso di forte ripresa). Insomma, è un po’ per gli editori con i libri. Se un libro passa da tre mila copie a 300 mila, l’editore (che ormai lo ha composto) deve solo far girare le rotative. Certo, gli serviranno carta e inchiostro, ma il libro c’è già. E quindi, giù soldi.
Ancora più incredibile è il caso del cosiddetto “Internet puro”. Prendiamo il caso di eBay, che organizza su scala planetaria le aste on line. La piattaforma esiste, tutti i vari meccanismi software sono al loro posto. E per eBay se sulla sua rete si svolgono mille contrattazioni al giorno o due milioni non fa alcuna differenza. Ma fa una grande differenza sul fronte degli incassi. Il “prodotto” in sostanza è sempre quello, solo che vi “ricorrono” più persone. Questa regola vale per tutti quelli che gestiscono strutture di “Internet puro”, dove cioè il prodotto sta sulla rete e nessuno deve stampare o spedire niente. E’ come se uno avesse una vetrina in Montenapoleone e incassa due euro ogni volta che qualcuno si ferma a guardarla. E’ evidente che, siano dieci o mille, per lui non fa alcuna differenza. Ma gli incassi sarebbero molto differenti.
In sostanza, le aziende della new economy (e in particolare quelle hi-tech e Internet) hanno questa caratteristica che le distingue dalla aziende della old economy: possono aumentare il fatturato anche di molto con minimi, quasi impercettibili, aumenti nei costi. E quindi i guadagni sono rappresentabili con una specie di forbice molto divaricata.
Se si guardano i mercati oggi, si vede che questa è appunto la scommessa che stanno facendo. Puntano sull’arrivo di una forte ripresa in America e quindi si aspettano un boom degli utili nelle aziende new economy. La maggior velocità con cui il Nasdaq cresce rispetto al Dow Jones si spiega tutta in questo modo.
E’ evidente, però, che questa scommessa contiene due variabili. La prima si chiama ripresa americana. Arriverà davvero? Sarà davvero forte? E arriverà presto, nel giro di qualche settimana? Se tutto questo non dovesse avvenire e se la ripresa dovesse spostarsi più in là o se, peggio, dovesse essere interrotta da una mini-recessione, allora la grande scommessa di questi giorni potrebbe andare tutta quanta in fumo.
La seconda variabile riguarda i prezzi raggiunti (già oggi) da queste imprese. Quelle buone hanno già dei p/e di 50-60 (e siamo altini). Ma ci sono anche quelle con dei p/e che si avvicinano a 200 (e qui siamo nella follia). Insomma, va bene puntare (da scommettitori) su Internet (sapendo che si può anche perdere), ma in qualche caso l’entusiasmo è già andato oltre il buon senso.
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