Società

Riforma lavoro di governo e Bce punta a dimezzare disoccupazione

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Roma – Mentre il governo accelera sulla riforma del lavoro imposta dalla Bce con la famosa lettera recapitata all’allora governo Berlusconi alla fine dell’anno scorso, i sindacati frenano.

L’obiettivo ambizioso del ministro Elsa Fornero e’ quello di abbassare la disoccupazione al 4-5% dal 9% attuale. Ma secondo economisti e docenti di diritto del lavoro non e’ dimostrato che flessibilizzare il lavoro in periodi di crisi faciliti l’attivita’ occupazionale in ingresso. Come insegna il caso degli Stati Uniti post crisi subprime.

Tra le novita’ emerse dall’incontro svoltosi ieri tra parti sociali e rappresentanti del dicastero del Welfare, spicca il mantenimento della cassa integrazione straordinaria (Cigs) anche con la riforma, che pero’ non avra’ valore per i lavoratori delle aziende che annunciano la chiusura.

Uno dei punti cruciali della riforma che il governo sta predisponendo riguarda dunque la ristrutturazione degli ammortizzatori sociali e l’introduzione dell’Associazione Sociale per l’Impiego (Aspi). Il governo ha detto che “si impegnera’ a trovare le risorse” per gli ammortizzatori “al di fuori dei capitoli di spesa sociale”. Ma ancora non ha precisato dove.

L’altra novita’ e’ che non ci sara’ nessun contratto unico, bensi’ un “contratto dominante” che privilegi la forma di ingresso. Secondo gli esperti in materia di lavoro ed economia, non e’ scritto da nessuna parte che si otterra’ un miglioramento delle opportunita’ e delle condizioni occupazionali tramite una riforma del lavoro che lo renda piu’ flessibile – come voluto dalla Bce e dalle autorita’ dell’Eurozona, per le quali il mercato del lavoro costituisce una delle poche voci che possono andare a toccare nelle politiche dei singoli governi.

In questi ultimi mesi docenti di diritto del lavoro e sindacati avevano fatto sentire la loro voce, segnalando la pericolisita’ di adottare il sistema del contratto unico e passare a una revisione del lavoro verso la flessibilita’ anche in uscita in un periodo di crisi e in una fase in cui il sostegno al reddito e’ l’elemento fondamentale per uscire dalla crisi.

Secondo Maurizio del Conte, docente di diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano, e’ sbagliato tentare di sfoltire indiscriminatamente i contratti in vigore fino a oggi e “insistere sulla flessibilita’ in entrata e in uscita determina un turn over che, di fatto, non crea nuove posizioni”.

“Quelli che ci sono, infatti, rappresentano una ricchezza che risponde alle svariate esigenze del mercato italiano. Forse ci sono un paio di contratti che si potrebbero eliminare: il job sharee il job on call. Per il resto, andrebbero preservati o migliorati”, ha detto in un’intervista al Sussidiario.net.

Come sostengono anche gli esperti in materia Tito Boeri e Michele Tiraboschi, interpellati nei giorni scorsi da Wall Street Italia, e’ da lodare invece la convergenza nel favorire anzitutto l’apprendistato. “Se vogliamo, questa operazione già di per sé semplificherebbe il panorama. Un contratto ben regolamentato e più appetibile per le parti consentirebbe, indirettamente, di svuotare gli altri di contenuto perché non vi sarebbero più, semplicemente, la convenienza a utilizzarli”, ha aggiunto Del Conte.

L’altra novita’ che dovrebbe placare gli animi bellicosi delle organizzazioni sindacali riguarda l’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), lo strumento che riassorbira’ tutta una serie di indennita’ e sostegni al reddito oggi in funzione e nati come strumenti ordinari o straordinari per tamponare le crisi del lavoro.

Una nuova indennita’ che, a seconda dei casi e dei lavoratori, tagliera’ o aumentera’, la durata e l’entita’ dei sussidi di disoccupazione.

La terza novita’ emersa dai colloqui di ieri e’ la scadenza della trattativa. Tutto deve essere pronto per il 23 marzo al massimo prima che il presidente del consiglio Mario Monti parta per una visita in Asia. Prossimo appuntamento per lunedi’ 19 a Palazzo Chigi.

IL NUOVO SISTEMA

L’Aspi affiancherà la Cassa integrazione guadagni ordinaria e la straordinaria, che continueranno a sopravvivere, ma la seconda non potrà più essere concessa ai dipendenti delle aziende che chiudono i battenti, facendo sparire uno degli strumenti utilizzati insieme alla mobilità per accompagnare alla pensione i dipendenti più anziani delle aziende decotte.

L’Aspi prenderà il posto dell’indennità di mobilità, degli incentivi di mobilità, della disoccupazione per apprendisti, della Cig in deroga e delle una tantum per i cocopro. Si applicherà a tutti i lavoratori privati con contratto a tempo indeterminato e indeterminato e agli stagionali della pubblica amministrazione. Nelle intenzioni del governo dovrà andare a regime a partire dal 2015, ovvero due anni prima di quanto inizialmente preventivato. Ma, secondo alcune indiscrezioni di stampa, verrà introdotta in modo flessibile a seconda dell’età dei lavoratori, più velocemente per i più giovani, più lentamente per i lavoratori più anziani, arrivando così a regime nel 2017.

I requisiti per accedervi sono: 2 anni di anzianità e almeno 52 settimane di lavoro nell’ultimo biennio. Dura 12 mesi, 15 per i lavoratori over 58. Si abbatte del 15% dopo i primi 6 mesi e di un ulteriore 15% dopo altri 6. Sarà finanziata con un’aliquota diversa a seconda del tipo di lavoratori. Nel complesso riduce i tempi di percezione dei sussidi che oggi, almeno nel caso della mobilità, possono arrivare anche a 36 mesi e più. L’Aspi prevede un’indennità con un tetto a 1.119 euro.

Le parti sociali riceveranno oggi il testo delle proposte discusse oggi pomeriggio per esprimere il loro parere e fare le loro osservazioni. Lunedì 19 marzo ci sarà un nuovo incontro a Palazzo Chigi anche con il premier Mario Monti.

PERPLESSITA’ DEI SINDACATI

Ai sindacati il nuovo sistema non è piaciuto perché “riduce le coperture temporali senza che si arrivi ad un sistema universale” come ha sintetizzato il segretario della Cgil Susanna Camusso. Per Raffaele Bonanni l’accelerazione del passaggio all’Aspi “in un momento di crisi, crea preoccupazione: sarà un’ecatombe sociale”, ha sentenziato nel corso della conferenza stampa tenuta al termine dell’incontro.

Per il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, poi, il governo avrebbe “sovrastimato i costi del sistema: hanno fatto riferimento a stime troppo pessimistiche oppure le cifre eccessive hanno motivi strumentali”.

Probabile che, dovendo tirare i fili del confronto, il ministro Fornero si sia tenuta stretta in modo da avere qualche margine nella trattativa. Insomma, ieri, avrebbe presentato ai sindacati l’opzione minima. Anche perchè probabilmente, come ha ammesso la professoressa torinese, sulle cifre il governo non ha ancora le idee chiare.

Un documento più dettagliato sarà fornito questa mattina alle parti sociali insieme ad una bozza di documento per la parte che riguarda la revisione dei contratti.

DIECI GIORNI DI PASSIONE

Ora la trattativa deve affrontare lo scoglio più difficile. La flessibilità in uscita, l’articolo 18, e mettere a punto il dettaglio di tutta la complessa riforma del ministro Fornero. Il risultato, si sa, è scontato.

Il governo, lo ha detto, andrà avanti con o senza la firma delle parti sociali, anche le piccole imprese ieri hanno protestato per l’aumento del costo del lavoro che il nuovo sistema comporterà e il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, teme il passaggio troppo rapido all’Aspi. E probabilmente sarà proprio la distribuzione dei sacrifici l’asso nella manica del governo che spunterà le unghie alle parti sociali.