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Riforma Articolo 18: “Applicarla solo ai nuovi contratti”

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Roma – Mentre cresce l’attesa per il voto sulla Riforma del Lavoro, ci si interroga su cosa puo’ essere cambiato in corsa per migliorare la legge e unire l’equita’ alla crescita economica.

Se da un lato il governo spera che il testo finale sia molto simile a quello uscito dal Consiglio dei Ministri, in quanto contenitore delle caratteristiche giuste per far ripartire il paese, non la pensano cosi’ tutti gli economisti.

In un’intervista rilasciata ai microfoni di RaiNews24, il professore di economia Marco Simoni della London School of Economics spiega che la soluzione ideale sarebbe evitare che riforma del famigerato Articolo 18, ad esempio, si applichi ai contratti gia’ in essere.

Perche’ se i giovani si trovano gia’ in una situazione priva della minima tutela – 2 milioni di precari, sopratutto giovani, non hanno avuto nessuna protezione di questo tipo negli ultimi anni, perche’ lavoravano con un contratto a progetto o a termine – sono i piu’ anziani a rischiare di subire conseguenze gravi.

Questo il motivo per cui ai pregi della norma si alternano dei difetti palesi: “Si regge su due gambe, sulla limitazione dela precarieta’ e sulla flessbilita’ del tempo indeterminato”.

Un altro problema grave e’ che non si capisce se ci cisa intesa politica su questa riforma e questo governo. “Sono riforme che devono essere condivise” dalle forze politiche, secondo Simoni. “Il troppo distinguo non aiuta il processo collettivo”.

Monti, neanche troppo tra le righe, ha espresso le sue vive preoccupazioni circa l’eventualita’ che gli investitori esteri siano allontantanti dall’idea che si torni alla solita politica litigiosa e inconcludente, che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi 15-20 anni.

E’ chiaro che nel giro di un anno solo le riforme non possono cambiare 15 anni di crescita zero dell’italia: “E’ necessario dare piu’ tempo perche’ italiani e stranieri si convincano”, ricorda il docente di Economia Politica Europea.

Ad esempio, spiega Simoni, “Non si capisce quanti di questi provvedimenti sopravviverebbero a un futuro governo di centro destra o centro sinistra”. Bisogna inoltre vedere se la riforma passera’ e come lo fara’. E’ probabile, infatti, che ci siano emendamenti in parlamento. Cambiamenti che pero’ non dovrebbero andare a stavolgere la riforma.

Sull’articolo 18 e i licenziamenti per motivi economici, sara’ il giudice a decidere, ma in ogni caso non e’ piu’ previsto il reintegro.

Se viene approvata, il rimodellamento della struttura del mercato del lavoro avra’ un impatto duro sulle generazioni di anziani, ma non sui giovani, come sottolinea Simoni. “Questi ultimi sono gia’ abituati a un regime di estrema flessibilita’, molto piu’ grave di quella proposta dalla legge”.

Per questo motivo Simoni – e non e’ il solo – e’ a favore di un articolo 18 affievolito, ma con contratto dominante che preveda tutele. E solo per il futuro, in modo da avere “un cambiamento che eviti a questa riforma di applicarsi ai contratti gia’ in essere”. O comunque che limiti fortemente i casi dei contratti a termine, tutela di discriminazione, pensione, maternita’, Diritti fondamentali che non toccano milioni di italiani.

Allo stesso tempo non ha senso snaturare il cuore della riforma: “Se viene cancellata la modifica all’articolo 18, rimarrebbe solo una maggiore rigidita’ ai contratti flessibili”. Bisogna invece incidere sul costo del lavoro.

“Vanno creati posti di lavoro attraverso una serie di investimenti e l’internazionalizzazione delle imprese italiani. Gli artigiani hanno continuato a mantenere picchi di eccellenza. Attraverso questi investimenti si deve puntare a mettere nel cassetto questi ultimi 15 anni che hanno visto una crescita nulla”.

Quanto al cambiamento di immagine del governo da novembre a oggi, Simoni, che ne sa qualcosa, vivendo all’estero, sostiene che Monti venga accolto come un “maestro” all’estero e che non e’ un economista liberista di tipo spinto. Il suo modello e’ quello tedesco, non americano o inglese anglosassone. “Per lui le organizzazioni intermedie hanno un’importanza fondamentale”, come avviene in Germania.

I tedeschi negli anni 2000 sotto il governo social democratico hanno flessbilizzato il mercato. Le misure hanno aiutato l’economia del motore europeo a crescere. “Durante la crisi paradossalmente le imprese tedesche hanno continuato ad assumere” ricorda Simoni. “Ma la Germania non ha mai perso il suo carattere di economia coordinata”.

L’errore per l’Italia sarebbe quello di importare ancora una volta un modello estero, come e’ successo negli scorsi anni. “Bisogna piuttosto riformare l’Italia pensando alle necessita’ interne, sia nel lavoro sia negli altri settori”.

In questo momento manca la politica pura, che riesca a tradurre le misure in una spiegazione chiara, limpida, che venga compresa dai cittadini. In fondo la riforma del lavoro interessera’ sopratutto loro.

In particolare alla luce degli ultimi dati pubblicati dall’Istat che tratteggiano un quadro cupo per i lavoratori: in febbraio il divario tra i salari e l’inflazione (cresciuta del 3,3% portando la differenza a 1,9 punti percentuali) e’ risalito ai massimi dal 1995, come successo gia’ in dicembre.

Se non risolvera’ il problema della mancanza di crescita, si spera almeno che la riforma del Lavoro possa rappresentare un punto di svolta per la politica italiana.