Società

RICCHEZZA VIRTUALE
PER RISVEGLIARE L’ECONOMIA

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SEPPURE con irregolarità e ripensamenti, il clima dei mercati azionari è
cambiato. La finalità delle contrattazioni è sempre prevalentemente
speculativa, ma si rivede una domanda per impieghi più stabili se è vero,
com’è vero, che le impennate, innescate per lo più dalle ricoperture, non
vengono più seguite come avveniva fino a qualche mese fa da nuove cadute che
le azzeravano: ora qualcosa rimane, e se rimane vuol dire che vi è chi compra
con l’intento di tenere i titoli. Forse non si pecca di ottimismo se si
interpreta questo graduale ritorno degli investitori come la conseguenza della
competitività che i rendimenti delle azioni presentano nei confronti di
quelli delle obbligazioni, ossia come il richiamo esercitato non più dalle
prospettive di aumento delle quotazioni, come è avvenuto per tutto il
decennio passato fino a gonfiare la disastrosa bolla speculativa, ma dal
flusso degli utili correnti, dai dividendi, che in un elevato numero di casi
si traducono in rendimenti ben maggiori di quelli delle obbligazioni a fronte
di una rischiosità che, a medio-lungo termine, è estremamente ridotta.
L’appeal dei dividendi è stato alimentato nelle ultime settimane dalle
notizie sulle singole società, le quali in maggioranza hanno comunicato il
recupero di una profittabilità superiore a quella che gli analisti andavano
prevedendo.

Questa intonazione dei mercati azionari contrasta con la persistenza di una
sostanziale stagnazione. Le previsioni di crescita continuano ad essere
smentite, e tutti i centri di analisi economica non fanno altro che prenderne
atto continuando a far slittare in avanti l’avvento di una congiuntura
migliore. È sempre più fondata l’impressione che l’economia dei Paesi più
evoluti sia impantanata in un ristagno della domanda che ancora non si vede
come possa essere superato. È il ristagno dovuto al deterioramento delle
condizioni di lavoro nel quale si è risolto il capitolo di storia
dell’economia mondiale che stiamo vivendo: disoccupazione, precarizzazione,
riduzione delle coperture sanitarie e previdenziali sono tutti fattori che
inducono a contenere le spese, ad abbassare gli standard di vita, dunque a
lesinare il carburante della domanda che attiva le economie industriali e
post-industriali.
Il contrasto tra una situazione economica stagnante e mercati azionari che,
invece, sembrano meglio orientati dimostra, dunque, che le imprese hanno
avviato ed in parte compiuto un processo di adattamento alla stagnazione
tarando il proprio potenziale produttivo, a cominciare dal personale, su una
situazione di bassa domanda ritenuta, evidentemente, non transitoria. Questo
fenomeno è comune a tutte le economie evolute, compresa la nostra nella quale
l’occupazione ancora aumenta, ma perché il lavoro viene frazionato, non
perché si produce più ricchezza.

Proprio perché è generalizzato il fenomeno è inquietante. Esso testimonia
un adattamento alla stagnazione che avviene attraverso il rafforzamento delle
cause che la determinano, fino a rimuovere dal futuro prevedibile il recupero
di un tasso di crescita più sostenuto. D’altra parte, se si continuano a
contenere le risorse disponibili per la grande massa della popolazione che
alimenta i consumi, da dove può venire la domanda che possa generare una
ripresa? Se, nella persistente assenza di un ruolo pubblico, anche le imprese
ripiegano, da dove può muovere la ripresa di una crescita economica?

Una risposta è difficile da trovare, ma può venir fuori dalle più avanzate
teorie economiche alle quali abbiamo già avuto modo di accennare. In breve:
se, attratta da una buona redditività, la domanda di titoli azionari va
riprendendo, il loro valore di mercato è destinato a salire. Salendo,
determina un aumento della ricchezza finanziaria delle famiglie, le quali
disporranno così di maggiori risorse e di una maggiore propensione a
spenderle, dando così impulso ad una crescita economica che altrimenti è
destinata a rimanere asfittica. Certo, sembra un paradosso che l’unica
possibilità di una ripresa in grado di generare un progresso diffuso stia in
un aumento della ricchezza virtuale, di quella ricchezza di carta che è
costituita appunto dalle attività finanziarie.

Ma non è un paradosso se si considera che la realtà che sta dietro i titoli
azionari molto spesso è migliore, e di parecchio, a quanto le loro quotazioni
esprimono, e se si considera anche che se è virtuale l’aumento della
ricchezza determinato dalla ripresa delle quotazioni azionarie, lo è stata
anche la perdita di valore che i titoli hanno subito per inerzia in seguito
allo sgonfiamento della bolla speculativa di tre anni fa. Che l’unica
possibilità di superare la stagnazione sembri affidata all’andamento non
sempre logico e lineare dei mercati finanziari lascia a dir poco perplessi, ma
questo è un altro discorso.

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