Economia

REFERENDUM, RUSH FINALE

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(9Colonne) – Roma, 9 lug – Il rush finale per raccogliere le 500mila firme valide per il referendum elettorale è cominciato. Ormai mancano solo quindici giorni al termine del 24 luglio. Nelle prossime due settimane il comitato organizzatore si produrrà in uno sforzo enorme per arrivare alla soglia del mezzo milione. Una mano ai promotori del referendum, in questo senso, è stata data oggi dal sindaco di Roma e candidato alla guida del Partito democratico, Walter Veltroni: “Sostengo il referendum ma non posso firmarlo, essendo il candidato alla guida di un partito che è parte integrante di questa maggioranza e nel quale ci sono opinioni diverse delle quali non posso non tener conto”. Lo scenario resta estremamente eterogeneo, anche all’interno delle diverse forze politiche. Marco Filippeschi, responsabile Istituzioni dei Ds accoglie le parole di Veltroni “come un pronunciamento chiaro e molto motivato, uno stimolo fortissimo al completamento della raccolta firme, in quanto serve come non mai una spinta dal basso sul Parlamento”. Parlamento che, dichiarava sabato in un’intervista a Repubblica il ministro Vannino Chiti, da quasi un anno impegnato a sondare il terreno per arrivare ad una soluzione condivisa, “ha ancora il tempo per varare una nuova legge elettorale, e lo deve fare perché il referendum non è la soluzione”. Il partito che si conferma maggiore sostenitore dell’iniziativa referendaria è Alleanza nazionale. Giorni fa Gianfranco Fini lo definiva come “una clava ma estremamente utile”, oggi Maurizio Gasparri, commendando le dichiarazioni del sindaco di Roma, lo critica per la presunta ambiguità: “Veltroni si conferma il solito Don Abbondio. E’ d’accordo con il referendum, ma non firma perché paga un prezzo ai mille compromessi già in atto per scalare la leadership di un sinistra divisa su tutto, quindi anche sulla legge elettorale”. Chi, da sempre, è schierato a fianco del comitato promotore, sono gli esponenti ulivisti, uno su tutti il ministro della Difesa Arturo Parisi. Il referendum sulla legge elettorale “è l’unica salvezza. Il referendum è lo strumento che la Costituzione offre ai cittadini quando il Parlamento fallisce”. Nettamente contro l’iniziativa referendaria restano i piccoli partiti, che verrebbero inevitabilmente emarginati. L’asse bipartisan è capeggiato dall’Udeur di Clemente Mastella, che ha più volte minacciato la crisi di governo nel caso in cui l’esecutivo non riesca a sventare la minaccia del referendum, dalla Lega Nord, dai Verdi e dai Comunisti italiani. Al tempo stesso si pongono contro questa soluzione, anche se per motivi diversi, Rifondazione comunista e l’Udc, contrari a un sistema maggioritario puro e al radicamento del bipolarismo, e favorevoli ad una legge che reintroduca il proporzionale con alta soglia di sbarramento sul modello elettorale tedesco. Diviso al suo interno è invece il più grande partito del centrodestra, Forza Italia. Il coordinatore nazionale Sandro Bondi, ritiene il referendum una “soluzione illusoria, auto-assolutoria e vana” e dice di temere si tratti solo del risultato “dell’assenza di una classe dirigente capace nei momenti di crisi più gravi di sapersi assumere delle responsabilità nei confronti del futuro dell’Italia”. Di opinione diversa si dichiara l’ex presidente del Senato Marcello Pera: “Forza Italia è nata come il partito del maggioritario, del bipolarismo, del presidenzialismo. Siccome il tempo passa e la possibilità di rifare una legge elettorale in Parlamento diventa sempre più remota, soprattutto se si tratta di una legge che assicuri la governabilità e non titilli solo la voglia di rappresentanza dei piccoli partiti, ho concluso: dobbiamo firmare per il referendum”.